Paris, France -  July 14, 2016 : Mozambique Diplomatic car during Military parade in Republic Day. Champs Elysees.

MOZAMBICO: Attore principali nella strategia dell’ “indipendenza da Mosca” per l’Italia e l’Europa

Marco Tamburro

A fine ottobre 2022 partiva il primo carico di GLN dal Mozambico destinato all’Italia; proprio nel 2022 l’allora ministro degli Esteri Luigi Di Maio programmava una visita in diversi paesi dell’africa sub sahariana con lo scopo di rafforzare le relazioni diplomatiche e commerciali con quei paesi africani che erano stati già da tempo individuati come l’alternativa alla Russia per le forniture energetiche.

Nel 2023 la premier Giorgia Meloni ha fatto visita in Angola, Mozambico e Repubblica democratica del Congo per ribadire la vicinanza e gli interessi italiani in questi paesi. La realtà mozambicana può essere considerata una delle priorità per l’Italia già da tempo e vive di relazioni diplomatiche storiche quali ad esempio l’accordo di pace firmato a Roma nel 1992 in cui un ruolo fondamentale fu giocato dalla Comunità di Sant’Egidio e della diplomazia italiana.

La presenza italiana sul territorio si è ulteriormente rafforzata nel 2017 grazie all’ENI e al suo ruolo di capofila nel consorzio con Exxon mobile (compagnia americana), del progetto Rovuma. Nel contesto mozambicano il progetto dell’ENI ha avuto inoltre la fortuna di non essere mai danneggiato o interrotto, come è successo alla francese TOTAL, che dopo aver rimpiazzato l’americana Anadarko nel 2016 per il progetto dello sfruttamento del giacimento di gas offshore al largo di Cabo Delgado, ha visto le operazioni interrompersi a causa della presenza di un movimento associato all’isis (non state armed Group) che ha provocato quasi un milione di sfollati interni e diverse vittime tra la popolazione, le forze mozambicane e le altre sudafricane.

È chiaro quindi che a causa del conflitto fra Russia e Ucraina le forniture dal Mozambico non possono rappresentare solamente una soluzione temporanea così come quelle che sono destinate all’Europa in provenienza dal Congo e dall’Angola. Questi Paesi saranno a breve veri e propri partner strategici in grado, insieme ad una notevole importazione dagli Stati Uniti, di porre fine alla dipendenza energetica dalla Russia.

In questo nuovo quadro di relazioni diplomatiche e commerciali ci si deve anche interrogare su quali siano gli obiettivi e i vantaggi che i Paesi africani vogliono trarre da queste relazioni: se l’Unione europea persegue l’obiettivo dell’indipendenza energetica dalla Russia è ovvio che questa situazione è ben chiara e compresa da questi nuovi partners.

Questa situazione fa sì che le relazioni diplomatiche possono rafforzarsi da un lato ma vengano considerate prioritarie dall’altro. questo perché i Paesi africani, soprattutto in Repubblica democratica del Congo e in Mozambico, non sono riusciti negli ultimi anni a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Quest’ultimo flagellato da fenomeni climatici particolarmente forti e considerato fra i primi 15 paesi più a rischio per catastrofi naturali derivanti dal cambiamento climatico.

Uno sguardo alle ultime elezioni amministrative svoltesi in Mozambico nel novembre 2023, rivela che i diversi casi di frode e la mancanza di trasparenza nel processo, unito a diversi scandali economici che hanno contraddistinto l’establishment politico di Maputo tra il 2016 e il 2018, investa la diplomazia dell’Unione Europea del compito di bilanciare l’interesse commerciale a quelli che sono gli obiettivi di crescita e sviluppo sociale e delle libertà civili che sono un obiettivo storico nelle relazioni diplomatiche che l’Unione europea ha instaurato con diversi partner africani.

Di conseguenza, il punto cruciale è come questi Paesi potrebbero sfruttare le necessità energetiche dell’Unione europea per essere molto meno interessati o recettivi a quelli che sono le richieste degli Stati membri UE rispetto a una maggiore trasparenza elettorale, un rispetto delle libertà civili di parola e di stampa e un miglioramento generale delle condizioni della popolazione. I casi del Mali, del Niger e del Burkina Faso che hanno mostrato progressivamente una grande insofferenza, rispetto alla storica presenza francese sul suolo nazionale, sono un campanello d’allarme per tutta Unione europea che deve prendere in seria considerazione la presenza diplomatica russa e la possibilità che essa possa rappresentare l’alternativa diplomatica e politica come partner prioritario per questi Paesi africani.

Ovviamente, la Russia non è uno stato im grado di garantire il supporto economico che l’Unione europea ha sempre garantito alla totalità dei partner africani, ma potrebbe essere una valida alternativa da un punto di vista di supporto militare con la presenza o di truppe regolari russe o di un’espansione ancora maggiore delle milizie Wagner, come già accade nella Repubblica Centrafricana. In futuro, sia l’Italia che gli altri membri UE dovranno riuscire a mettere in piedi una diplomazia molto astuta capace di perseguire gli interessi commerciali legati alle forniture energetiche, senza però abbandonare gli storici obiettivi di sviluppo sociale dei quali le popolazioni africane hanno un enorme bisogno.

Marco Tamburro

Maiolino

Dalla New York di Rudolph Giuliani al dibattito politico sociale sulla sicurezza

Dott. Massimo Maiolino
Già membro dello staff del Consolato italiano di Wettingen, in Svizzera, è attualmente Funzionario presso il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Laureato con lode in Scienze dell’Amministrazione e della Sicurezza, presso l’Universitàdegli Studi di Roma “Unitelma Sapienza” La sua tesi in criminologia nasce dall’interesse che ha sempre nutrito verso le tematiche riguardanti l’ordine e la sicurezza pubblica, la cui realizzazione e difesa sono considerate come premesse irrinunciabili per l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone.

LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE. Dalla New York di Rudolph Giuliani al dibattito politico-sociale sulla sicurezza.   Il disordine e il degrado hanno sempre costituito motivo di turbamento e di insofferenza in quanto incidono negativamente sulla qualità della vita di gran parte della popolazione. All’indignazione poi si accompagna spesso il timore che i comportamenti incivili, se non sufficientemente contrastati, possano pregiudicare la sicurezza in quanto le ripetute infrazioni alle regole del viver civile si trasformerebbero col tempo in reati ben più gravi quali furti, rapine e violenze varie. Di queste dinamiche si è occupato, nel 1982, un famoso articolo pubblicato sulla rivista “The Atlantic Monthly” scritto dai criminologi statunitensi James Q. Wilson e George L. Kelling e intitolato “Broken Windows. The police and neighborhood safety” (Finestre rotte. La polizia e la sicurezza del quartiere). I due studiosi partono dal principio per cui “se la finestra di un edificio viene infranta e non è riparata, le finestre rimanenti saranno presto rotte”. In altri termini, se si lasciano impuniti gli atti di inciviltà che incidono negativamente sulla qualità della vita e sulla sicurezza degli abitanti del quartiere, esiste il serio rischio che l’intero territorio divenga teatro di infrazioni sempre più gravi, se non di veri e propri crimini, divenendo in breve tempo invivibile per i cittadini. La teoria, chiamata appunto “Broken Windows Theory” (letteralmente: Teoria delle finestre rotte) deve la sua celebrità soprattutto al fatto di essere diventata il principio ispiratore della politica di “Tolleranza zero” attuata negli anni ’90 da Rudolph Giuliani, sindaco di New York, all’epoca in vetta alla classifica delle città più pericolose del pianeta.  Alle misure messe in atto, che comprendevano la prevenzione e la severa repressione di trasgressioni che costituivano ormai la norma, quali gli atti di vandalismo e lo scavalcamento dei tornelli delle stazioni della metropolitana, corrispose un clamoroso quanto inaspettato calo dei crimini, compresi omicidi e rapine. Successivamente, i principi enunciati da Wilson e Kelling influenzarono alcune importantissime politiche di pubblica sicurezza applicate in Europa, come il progetto “Polizia 2000” realizzato in Spagna, il programma di “bonifica degli Champs-Elysées” a Parigi e il “Crime and Disorder Act”, posto in essere nel Regno Unito verso la fine degli anni ’90 dal governo laburista di Tony Blair. In Italia, invece, la legge n. 81 del 25.03.1993 aveva introdotto l’elezione diretta del sindaco, conferendo al primo cittadino poteri e competenze molto più ampie rispetto al passato, tanto da creare così i presupposti per un altro importante intervento normativo, vale a dire la legge n. 125 del 2008 (dichiarata tre anni dopo parzialmente illegittima sul profilo costituzionale), divenuta celebre con il nome di “pacchetto sicurezza”, che conferiva ai sindaci ampie potestà legislative in materia di sicurezza, decoro, viabilità e danneggiamento del bene pubblico. A quarant’anni dalla pubblicazione dell’articolo sul “The Atlantic Monthly”, la Teoria delle Finestre Rotte continua ad essere al centro del dibattito politico e sociale sul problema dell’ordine e della sicurezza, provocando reazioni e giudizi spesso contrastanti. Da un lato vi è chi considera questa teoria come profondamente reazionaria, ispirata ad una logica puramente repressiva e tesa a penalizzare i ceti più deboli della popolazione. Dall’altro c’è, viceversa, chi considera i principi enunciati da Wilson e Kelling come delle verità inconfutabili, empiricamente dimostrate. Tra i principali sostenitori della Teoria delle Finestre Rotte si sono sempre distinte le forze di Polizia, che le riconoscono il merito di “fotografare” in maniera chiara ed esaustiva situazioni da esse ben conosciute in base all’esperienza fatta “sul campo”, nello svolgimento dei propri compiti. Il presente lavoro, che prende le mosse dall’articolo del 1982, descrive e analizza la teoria e i suoi presupposti scientifici e culturali per poi proseguire con la descrizione delle sue principali applicazioni pratiche, soffermandosi soprattutto sull’attività del New York Police Department durante i due mandati di Rudolph Giuliani. Un intero capitolo è poi dedicato alla legislazione e al dibattito sull’ordine e la sicurezza pubblica in Italia a partire dagli anni ’70. Successivamente, vengono passate in esame le principali critiche alla “Broken Windows Theory”, con particolare risalto a quelle collegate alle denunce di violazioni ed abusi che sarebbero stati perpetrati dalla polizia newyorkese nel periodo della “Tolleranza zero”. L’obiettivo è, oltre che esporre in maniera quanto più possibile esaustiva la teoria, quello di sottolineare la necessità di distinguere tra le idee di Wilson e Kelling e le “Policies” che ad esse si sono ispirate, al fine di giungere ad una valutazione della “Broken Windows Theory” quanto più obiettiva e libera da pregiudizi e capire se essa possa ancora rappresentare una valida risposta all’inciviltà e al degrado che, soprattutto nelle grandi città, rappresentano delle criticità sempre più evidenti e condizionanti.

Mariarosa Salvuccci

Il D. Lgs. 231 a vent’anni dalla sua entrata in vigore: l’esperienza applicativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro

Dott.sa Mariarosa Salvucci: Laureata in giurisprudenza presso “Unitelma Sapienza” con tesi in diritto penale 
Pluriennale esperienza nella normativa del settore petrolifero e attualmente svolge la sua
attività in una multinazionale del settore energia e petrolio. Appassionata dello studio sui reati presupposto e del diritto del penale.

Struttura di formazione decentrata di Roma Cassazione:

 “La motivazione delle sentenze penali di legittimità: le misure cautelari personali”, “La responsabilità da reato degli enti: profili sostanziali e processuali a venti anni dal d.lgs. n. 231 del 2001”, “Alla ricerca del responsabile per danno da cose in custodia tra fatti costitutivi e elementi impeditivi

Nel 2001 è stato abbandonato il principio "societas delinquere non potest" al quale era ancorato il principio secondo il quale non era possibile attribuire una responsabilità diretta agli enti collettivi.
Con Legge 29 settembre 2000, n° 300 è stata data delega al governo (art .11 ) per procedere all'introduzione di un'articolazione di un sistema di responsabilità sanzionatoria amministrativa degli enti. La legge 300 ottemperava agli obblighi previsti dalla convenzione OCSE, ma più in generale, alla quasi totalità degli strumenti internazionali e comunitari in una pluralità di materie; disponendo la previsione di paradigmi di responsabilità delle persone giuridiche. Pertanto, tale riforma nel nostro ordinamento non era più procrastinabile e l'8 giungo 2001 è stato promulgato il D.lgs 231
Il modello di organizzazione gestione e controllo di cui al D.lgs. 231/2001 rappresenta la normativa più significativa nell'ordinamento italiano del principio secondo il quale per ottenere il rispetto della legalità non si rende efficace la sola minaccia sanzionatoria ,ma soprattutto il rispetto della legalità si ottiene tramite lo strumento della prevenzione all'interno della societas, prevenzione che può essere attuata mediante procedure interne, sorveglianza e controlli (auditing) e modelli di gestione e controllo. Con il d.lgs. 231/2001, però, la giusta organizzazione interna in funzione della prevenzione di fatti penalmente rilevanti non è più solo appannaggio delle persone fisiche che si ergono a direzione dell’ente (apicali), ma è divenuta il parametro con il quale misurare la prontezza delle società, intesa in senso collettivo, a prevenire possibili condotte offensive che possano essere previste nello svolgimento dell’attività imprenditoriale. Segnatamente, per incentivare gli enti ad assumere modelli di comportamento efficaci, la normativa 231 ha preso le mosse dall'ordinamento giuridico nord americano che prevede i c.d. compliance programs, producendo uno schema di tipo "punitivo- premiante" cioè,un sistema che da un lato paventa sanzioni gravose di tipo: pecuniario, ablativo, interdittivo e reputazionale; e unitamente presuppone e promette una possibile esenzione dalla responsabilità. La strategia preventiva del corporate crime è basata sui Modelli Organizzativi interni di cui all'art. 5 d.lgs.231/2001
Il Modello di Organizzazione viene indicato dal legislatore come lo strumento di precauzione per la prevenzione di reati all'interno dell'organizzazione e la sua disamina emerge nella prima fase di accertamento della violazione di regole cautelari. Il legislatore ha fissato i requisiti necessari che il Modello deve contenere (artt. 6 e 7 d.lgs. 231/2001; art. 30 d.lgs. 81/2008 rubricato comunemente definito T.U.Sulla sicurezza e salute dei lavoratori.) Quindi la colpa per mancata organizzazione parrebbe essere di natura " specifica" ossia per la mancata osservazione di criteri positivizzati al livello legislativo. Sul piano sostanziale però il d.lgs. 231/2001 nel rubricare la responsabilità da reato degli enti, non fornisce delle cogenti regole cautelari, ma si limita ad enunciare una generica idoneità del Modello (art. 5) e a delimitare una cornice entro la quale l'ente potrà svolgere la propria attività accettando un " rischio concesso." L'azienda che intenda conformarsi al dettame del d.lgs. 231/2001 per prevenire i reati-presupposto, deve rifarsi ai parametri fissati dagli artt. 6 e 7 ossia: valutare sistematicamente i rischi da prevenire ( puntuale mappatura dei processi aziendali ) , prevenzione tramite l'utilizzo di protocolli , controlli sulla gestione finanziaria , previsione di flussi informativi verso l'organismo di vigilanza interno, norme sanzionatorie a carico dei dipendenti e azioni utili a prevenire le situazioni potenzialmente a rischio reato. L'art.5 del D.lgs. 231/2001 al comma 1 prevede che affinché possa configurarsi l’illecito, non è sufficiente il solo legame fra l'autore del reato e l’ente, ma aggiunge, che lo stesso illecito debba essere perpetrato con il fine dell'interesse e vantaggio per l'ente collettivo. Il suddetto articolo infatti, puntualizza al 2° co. che l'ente non è responsabile, se l'illecito viene commesso nell'interesse dell'autore o di terzi. La norma ha creato non poche discrasie in particolare con l'introduzione dei reati colposi all'interno del corpo normativo; introduzione che avverrà dopo 7 anni dalla legge delega per mezzo di un'altra legge la l. delega del 3 agosto 2007, n. 123, per mezzo della quale è stato introdotto l'art 25 septies :"Omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime ( di cui agli artt. 589-590 cp.) commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute
sicurezza sul lavoro." L'art. 25 septies ha avuto una forte influenza sull'apparato della responsabilità degli enti in tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, fino ad arrivare alla responsabilità delle persone fisiche, il cui cardine è dato dagli artt. 16 e 30 del d.lgs.81/2008.
I due articoli hanno avuto un forte impatto perché hanno traslato la responsabilità dalla persona fisica all'ente, il che consente di dare una risposta di tipo sanzionatorio che meglio aderisce alla vera natura dei sinistri in ambito lavorativo, tracciando cosi il paradigma della criminalità d'impresa. La norma però ha creato un'impasse normativo se letta alla luce dell'art. 5 del medesimo d. lgs.231, in quanto da subito la dottrina si è interrogata sul significato da attribuire ai requisiti di interesse e vantaggio. Il criterio dell'interesse o vantaggio dovrebbe (e potrebbe) essere ragionevolmente interpretato come riferito non già agli eventi illeciti non voluti, bensì sulla condotta che la persona fisica abbia tenuto nello svolgimento della sua attività per l'ente. Quindi è ormai tesi consolidata in dottrina che, anche in riferimento ai reati di cui all'art. 25 septies, l'interesse o il vantaggio devono essere ricercati all'interno della condotta e non nel fatto di reato. Anche nella relazione governativa al d.lgs.231/2001 viene specificato che l'interesse dell'ente caratterizza in senso soggettivo la condotta delittuosa della persona fisica e si accerta con una verifica ex ante, viceversa, il vantaggio, che può essere tratto dall'ente anche quando la persona fisica non abbia agito nel suo interesse, richiede sempre una verifica ex post, la medesima posizione risulta essere stata accolta anche dalla Corte di Cassazione..
L'art 25 septies ha anche operato una novazione in tema di modelli organizzativi. La normativa sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro è stata oggetto di un lungo susseguirsi di normative a partire dagli anni '50 dello scorso secolo.
In Italia la prima normativa volta alla prevenzione dei rischi connessi all'attività lavorativa si avrà per mezzo del d.lgs. 626/1994 abrogato in favore del successivo d.lgs.81/2008. Si è arrivati così ad una gestione "sistematica" della materia della prevenzione, che significa attuare piani di programmazione per prevenire i rischi e prevedere un'organizzazione attraverso la quale diventi possibile accertare le singole responsabilità. Nel 2001 quindi il sistema di prevenzione sui luoghi di lavoro diventa più complesso ed articolato, l'ente può essere perseguito per "colpa di organizzazione” o mancata organizzazione e di conseguenza i soggetti obbligati sono divenuti passibili di incriminazione penale, in primis il datore di lavoro, fino a scendere alla dirigenza.
Quindi l'innovazione può dirsi "copernicana" in quanto il datore di lavoro che non dirige la propria attività ottemperando agli obblighi connessi ai rischi per la salute e sicurezza all'interno della propria azienda e che non riporti dettagliatamente in apposito documento la mappatura delle attività pericolose, può essere soggetto a sanzione amministrativa o penale.
Con l'introduzione del d.lgs.231/2001 si è fatto un ulteriore passo avanti, ossia si è passati dalla responsabilità personale alla responsabilità dell'ente
In altre parole, se viene accertato che una condotta illecita è stata possibile per mancato rispetto degli standard organizzativi e gestionali e l'evento reato rientra fra il novero dei reati-presupposto ed è stato consumato con un nesso di profittabilità per l'ente, ecco che l'ente diventa passibile di sanzioni che vanno dall'amministrativo al penale ( non sono soggetti a tale disciplina gli enti pubblici non economici). Con l'introduzione nell'art. 25 septies d.lgs.231/2001, i reati colposi a danno dei lavoratori sono parte dei reati che possono portare sul banco degli imputati l'ente collettivo.
Se quanto finora esposto porta ad una riflessione in senso positivo dell'attenzione del legislatore su di una tematica di siffatta importanza, non mancano però i punti di difficile soluzione in tema di sovrapposizione ed intersecazione delle due discipline, e più precisamente in tema di modelli organizzativi.
Il modello in tema di sicurezza costruito dal d.lgs.81/2008, ha come figura centrale il datore di lavoro e gli obblighi che su di esso gravano (obblighi non delegabili) e al contempo prevede una serie di figure, ivi
compresi i lavoratori, e regole precise per la realizzazione, esecuzione ed aggiornamento del modello di sicurezza.
Occorre ora esaminare quale connessione intercorre fra il modello di gestione della sicurezza ed il modello organizzativo di cui al d.lgs.231/2001. La domanda che ci si pone è nell'individuare se si tratti di due modelli che operano autonomamente, e se così fosse, se sono presenti punti di intersecazione. Partendo dal primo quesito, ossia se si tratta di due modelli autonomi, l'incertezza nasce dal fatto che le regole cautelari, sono l’essenza dei reati di tipo colposo e la violazione di tali regole, configura la condotta tipica. Quindi un modello organizzativo in grado di prevenire i crimini previsti dall'art. 25 septies, è un modello che deve essere costruito per poter prevenire un frastagliato "cosmo” di violazioni cautelari, verso le quali la pericolosità delle conseguenze risulta tutt'altro che selettiva. Il legislatore delegato quindi, dopo un primo momento di afasia , ha provveduto a disciplinare precipuamente sul tema. La norma chiarificatrice la troviamo all'art. 30 del d.lgs.81/2008 la quale dispone che l’ente, affinché sia scriminato dai reati di cui all'art. 25 septies d.lgs.231/2001, deve predisporre ed attuare un modello organizzativo in grado di adempiere a tutti gli obblighi giuridici, ossia:
a) al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici; b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; d) alle attività di sorveglianza sanitaria;
e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
h) alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.
Il modello di organizzazione e gestione, oltre ad assolvere agli obblighi sopra citati, deve prevedere un opportuno supporto (es. registro elettronico) nel quale vengono registrate le attività di cui al 1° comma e altresì deve assicurarsi di implementare un sistema ed un organigramma in grado di assicurare , tramite figure tecniche ,la verifica , gestione e controllo dei rischi , oltre che prevedere di sanzioni disciplinari nel caso di mancato rispetto delle misure cautelari presenti di modello.
Sul tema si è espressa la giurisprudenza di merito "Il sistema introdotto dal d.lgs.231/2001 impone alle imprese di adottare un modello organizzativo diverso e ulteriore rispetto a quello previsto dalla normativa antinfortunistica."

Pergolizzi

La sicurezza sussidiaria come risposta alla pirateria marittima, le private military and security companies

Dott. Vincenzo Pergolizzi

Attuale Direttore Tecnico Lazio ed Antipirateria. Coordinatore Filiale di Roma e Genova presso VEDETTA 2 MONDIALPOL SPA. Già Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri Paracadutisti

Formazione:

Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza. Laurea in Scienze dell’Amministrazione e Sicurezza.

ISFOA Libera Università di Diritto Internazionale.Laurea in Scienze della Sicurezza, Scienze Industriali.

Università degli Studi RomaTre. Master di Security Manager.

Università di Roma Tor Vergata. Master di Esperto in Sicurezza ed Igiene del Lavoro

 

Questo studio intende aprire una finestra sul comparto della vigilanza privata, con l’obiettivo di focalizzare i problemi normativi che di fatto, oggi in Italia, limitano lo sviluppo di questo importante settore. La sicurezza deve essere considerata come un diritto sociale costituzionalmente garantito, per questo è chiara l’esigenza di un nuovo quadro normativo, che consenta agli istituti di vigilanza di implementare le attività di sicurezza sussidiaria già in essere. La regolamentazione dei servizi di "close protection" e di "sicurezza all'estero" sarebbe un ottimo primo passo mentre lo sviluppo di una “exit strategy” basata su 3 direttrici:

  1. Ampliare il mercato di riferimento;
  2. Proseguire nel processo di formazione, prevedendo l'intervento delle Regioni con lo stanziamento di fondi interprofessionali europei;
  3. Costituire una cabina di regia interministeriale, per la definizione del costo del lavoro e del controllo delle tariffe allo scopo di contrastare azioni di dumping.
Rappresenterebbe una risposta adeguata ad esigenze non più trascurabili.