Il conflitto tra le Forze paramilitari dell’ RFS e le Forze Armate Sudanesi (SAF) infuria ormai da quasi nove anni con migliaia di vittime sia tra i militari che tra i civili. Secondo le Nazioni Unite questo conflitto ha dato origine alla maggiore crisi di sfollati mai registrata a livello globale.
Dallo scoppio del conflitto, il 15 aprile 2023, oltre 5,2 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case in Sudan, di questi oltre 4,1 milioni rimangono sfollati all’interno del Paese mentre la restante parte cerca sicurezza verso la Repubblica Centrafricana, l’Etiopia, e il Ciad.
L’ assoluta mancanza di sicurezza causata dall’aspro conflitto impedisce in molte parti del Paese, l’accesso umanitario delle agenzie delle Nazioni Unite che temono nuove perdite umane come gia accaduto a Karthoum nelle prime settimane del conflitto.
Il Sudan, viene da una lunga storia di insatbilita, fatta di colpi di stato e transizioni democratiche poco durature: Tra il 1958 e il 1989, diversi Governi sono stati rovesciati da regimi militari, l’ultumo con Al Mahdi che si era visto costretto a cedere il potere a Bashir nel 1989. In questo scenario di forte instabilità, l’esercito ha sempre giocato un ruolo centrale nella storia del Sudan. Conscio del potere dell’apparato militare, il presidente Bashir lo ha sfruttato e manipolato per i suoi interessi, rafforzandolo ma al tempo stesso dividendolo al suo interno, usando la cosiddetta ’’coop proofing strategy’’, dove ognuno controlla l’altro.
Bashir si servi’ dell’esercito regolare (SAF) per cercare di spezzare la resistenza del Sud Sudan nella lunga e sanguinosa guerra civile per l’indipendenza.
Al tempo stesso nel 2003 in Darfur, a causa dello scarso supporto del Governo, i disordini e le proteste della popolazione aumentarono fino allo scoppio di disordini guidati dai gruppi ribelli del Movimento per la Liberazione del Sudan (Sudan Liberation Movement, SLM) e dal Movimento Giustizia ed Uguaglianza (Justice and Equality Movement, JEM). Vista la situazione di crisi, Bashir si servi’ del coordinamento militare del SAF affiancato dai paramiliatri Janjaweed. Questi ultimi, in breve tempo si macchiarono della distruzione di almeno 3.000 villaggi nel Darfur e altri orrendi crimini come esecuzioni sommarie e stupri che spinsero la popolazione del Darfur a fuggire verso il vicino Ciad.
Dalle brutali azioni dei Janjaweed emerse la figura di Mohamed Hamdan Dagalo (Hemeti), come leader militare che Bashir considero’ chiave per la sua protezione personale e per controllare le forze regolari militari.
Solo nel 2011, il Sud Sudan al costo di centinaia di migliaia di vittime, riesce nell’impresa di rendersi indipendente. Ciò indebolirà la posizione di Bashir che con la perdita del conflitto ha perso anche la possibilità di accesso a molte risorse strategiche, facenti ora parte del territorio del neo nato stato.
La perdita del conflitto ebbe anche effetti diretti sulla persona del Presidente. Sempre più ossessionato dalla propria sicurezza, arriva ad inquadrare le forze speciali e i Janjaweed nell RSF (rapid support forces) sotto al guida di Hemeti, ma supervisionati dal NISS (i servizi segreti nazionali).
Hemeti non diventa importante solo come comandate militare e protettore del Presidente, ma riceve autonomia finanziaria nel gestire traffici illeciti di armi con Egitto, Libia e Ciad, oltre ad essere detentore dei dirtti di estrazione di varie miniere in Sudan e gestisce anche altri affari nel campo delle telecomunicazioni.
Come conseguenza della perdita del Sud Sudan e della gestione dello Stato che mira ad allocare quasi il 70% del budget dello Stato alla sicurezza, Bashir deve confrontare una grande ondata di proteste della societa’ civile influenzata anche dagli eventi delle primavere arabe del Nord Africa.
Quando nel 2019 Bashir, ormai travolto dalle circostanze e senza più una visione politica degli eventi decide di reprimere i moti con la violenza, gli stessi uomini che assicurano la sua protezione capiscono che non è più in grado di guidare il paese e ad aprile dello stesso anno supportano il colpo di Stato che consegnerà l’ormai ex presidente alla Corte Penale Internazionale per i crimini in Darfur e Sud Sudan.
All’interno di questa caotica visione, iniziano a farsi largo diverse figure carismatiche tra le quali Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, ufficiale delle forze armate regolari, che tramite incarichi importanti, come l’attache militare per il Sudan in Cina, riesce a guadagnare credibilità non solo in patria.
Con la deposizione di Bashair sono proprio Hemedi e Al Bhuran, con un governo di transizione militare, a guidare il paese verso un regime democratico con libere elezioni.
Falliti ben due tentiativi di transizione, ultimo dei quali si riferiva all’accordo del 2022 col presidente Hamdok come rappresentante della societa’ civile, il punto centrale diventa proprio il confronto fra Al Bhuran e Hemeti. Con le dimissiondi Hamdok, Al Bhurnai diventa di fatto il leader del Sudan con Hemeti come vice; oltre a studiare un nuovo accordo (fallimentare) con la societa civile, Al Bhuran introudce una riforma dell’esercito che dovrebbe integrare l’RSF al SAF in due anni, mentre Hemeti propone in 10 anni.
Senza alcuna speranza di vedere un reale governo di transizione concrettizarsi, i due leaders si ritrovano in una disputa senza soluzione, situazione che fa scoppiare un vero e proprio conflitto nell’aprile 2023 e che vede un confronto su vasta scala, essendoci una vera e propria ‘’doppia presenza’’ nel Paese del RFS e SAF che improvvisamente si trovano in una guerra.
A livello di rapporti internazionali, al fianco degli attori istituzionali che si sono impegnanti nei negoziati di pace e come mediatori fra la societa civile e i miltari (USA, UK, Unione Africana), esistono anche i paesi arabi che guardano al conflitto sudanese non solo come una crisi regionale e umanitaria da affrontare ma anche come una nuova opporutnita’ di influenza.
Proprio l’autonomia finanziaria di Hemeti e le conoscenza istituzionali di Al-Bhuran hanno come conseguenza quella di avere un vero e proprio ‘’doppio Stato’’, dove Hemedi ha le sue relazioni con esponenti egiziani, libici, ciadiani, in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Cina e soprattutto Russia (wagner), e Al-Bhuran altri interlocutori di alto profilo negli stessi Paesi. Da qui, interessi e conoscenze si intrecciano e sicuramente nella Regione come anche a livello internazionale, i vari paesi supportano una delle due fazioni e sperano nella vittoria dell’uno o dell’altro quando invece, per la popolazione sudanese, sarebbe molto piu’ benefico, un cambiamento della storia del paese che purtroppo difficilmente avverrà a breve termine.
Marco Tamburro
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