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Crisi in DRC: chi sono gli M23 e le mire espansionistiche del Rwanda

Marco Tamburro

L’offensiva su Goma, nel Nord Kivu, da parte dell’M23 è stata lanciata a gennaio ed è sostenuta, ancora una volta, dal Rwanda. La presa della capitale del Nord Kivu è durata dal 23 al 30 gennaio. L’offensiva fa parte della più ampia campagna espansionistica dell’M23 nelle province del Nord e del Sud Kivu della RDC, ripresa nell’ottobre 2024 dopo una pausa. Nel gennaio 2025 i ribelli dell’M23 hanno compiuto una rapida avanzata nelle regioni del Kivu, prima conquistando Goma e poi Bukavu nel Sud Kivu. Mentre si allarmano i vicini Uganda e Burundi, anche gli organi Istituzionali come l’Unione Africana e gli Stati del sud est (SADC) sono alla ricerca di una mediazione politica. Al di là del noto supporto rwandese, l’M23 è un’organizzazione paramilitare. È storicamente considerata filo-ruandese per la presenza maggioritaria di tutsi, e parte del gruppo dell’Alleanza del fiume Congo (AFC). L’M23 è composto da ex ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) integrati nell’esercito congolese in seguito all’accordo di pace firmato il 23 marzo 2009 tra il CNDP e Kinshasa, che si sono poi ammutinati nell’aprile 2012, ritenendo che il governo congolese non stesse rispettando i termini dell’accordo.

Già nel 2012, i ribelli dell’M23 hanno conquistato gran parte del Nord Kivu e il 20 novembre 2012 già presero il controllo di Goma. Questo atto di guerra scatenò una forte mobilitazione della comunità internazionale per evitare una nuova deflagrazione nella regione. Durante la mediazione che ha riunito i Paesi africani dei Grandi Laghi, si raggiunse un accordo per il ritiro dell’M23 da Goma, in cambio dell’apertura di negoziati con le autorità congolesi.

Nel novembre 2021, l’M23, che fino ad allora era rimasto discreto, è tornato attivo nella Repubblica Democratica del Congo e, dal 2022, ha intensificato la sua offensiva nella regione del Kivu, prendendo il controllo di aree strategiche.

Ovvio però, che la presenza militare dell’M23 e del suo leader, non distolgono l’attenzione da quello che è il vero protagonista della strategia dietro i recenti attacchi, cioè Paul Kagame. L’Est del Congo è ricca di minerali e altre risorse naturali, e la presenza di gruppi armati e scarso controllo da parte del governo di Kinshasa, rendono molto più facili il controllo e l’esportazione illegale di queste risorse.

Incredibile il fatto che il Rwanda, che sarebbe in teoria poverissimo di coltan, sia un grand esportatore verso l’UE, tanto da aver sottoscritto un accordo con la Commissione europea nel febbraio 2024[1].

Il 13 febbraio, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza per sospendere un accordo di cooperazione con il Ruanda su un trio di minerali fondamentali (The so-called 3T minerals — tin, tungsten, tantalum) per la transizione energetica pulita, citando i loro legami con le violenze in corso nella Repubblica Democratica del Congo.

Le collaborazioni fra l’UE e il Rwanda non finiscono qui, e gli imbarazzi dell’UE riguardano anche i 320 milioni di euro su climate-proof cities, 100 milioni su educazione primaria, e i 21 milioni per la missione rwandese nel Nord del Mozambico a protezione del gasdotto TOTAL, che dovrebbe poi rifornire anche l’UE nella sua strategia di diversificazione di approvvigionamento.

Risorse naturali, gas, Unione Europea ed etica, non vanno sempre d’accordo.

Marco Tamburro


[1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_24_822

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