mattei

Il Piano Mattei prende forma: più trade e meno aid

Marco Tamburro

È entrata in vigore già dal 14 gennaio 2024 la legge n. 2/2024, che definisce gli ambiti di intervento del “Piano Mattei” e istituisce la Cabina di regia preposta al coordinamento e al monitoraggio dell’implementazione del piano. In quasi un anno, diversi soggetti hanno già beneficiato dei fondi, tra cui diverse organizzazioni della società civile, per l’implementazione di progetti su diverse tematiche nei Paesi prioritari, tra cui Algeria, Costa d’Avorio, Egitto, Etiopia, Kenya, Libia, Marocco, Mozambico, Repubblica Democratica del Congo, Rwanda, Sud Africa e Tunisia.

Dopo circa un anno di implementazione, si possono tirare già alcune conclusioni perché si intravedono diversi elementi, chiari e meno chiari, che caratterizzano l’attuazione del paino:

  • Un approccio top-down e il rapporto fra AICS e DGCS: se già nel gennaio 24 l’Unione Africana si era detta ‘’sorpresa’’ del lancio del piano senza consultazioni avvenute fra l’organo di coordinamento africano e il Governo italiano, resta un carattere molto centralizzato a livello decisionale, con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) che spesso viene consultata sulle iniziative del Piano Mattei, ma non riveste certo un ruolo decisionale. Questo perché, anche solo per un mero aspetto legislativo, l’AICS risponde alla normativa 125/2014 (legge sulla cooperazione), mentre il Piano Mattei al decreto-legge del 2024, slegandolo così di fatto da tutta quella normativa burocratica che caratterizza il modus operandi di AICS. Di conseguenza, all’interno del Ministero affari esteri, è la DGCS[1] ad avere un ruolo di primo ordine e ad essere l’organo decisionale sulle iniziative, generando anche una sorte di rivalità con l’AICS.
  • Un approccio dinamico e comunicativo: se nel gennaio 2024 l’Unione Africana si era espressa in quei termini, la cabina di regia non ha però mancato di coltivare, dopo il lancio, i rapporti con i partners africani che in diverse occasioni, sono stati visitati e con cui si sono intavolate diverse discussioni sulle loro priorità. Ad oggi, quasi tutti i Paesi prioritari hanno visto almeno due missioni nell’arco degli ultimi 24 mesi di rappresentanti di alto livello di AICS-DGCS, e sempre alla presenza degli ambasciatori italiani presenti in ogni Paese. Queste missioni non hanno mancato di mettere in agenda anche incontri con la società civile italiana presente nei Paesi africani partners oltre che rapporti stretti con ENI.
  • Un’eleggibilità ‘’allargata’’: essendo il Piano attuato sotto un decreto-legge diverso dalla legge sulla cooperazione, questo dà molto più margine di manovra alla cabina di regia di Roma decidere in autonoma e anche per assegnazione diretta, dove e come destinare i fondi. Diversi enti, si trovano così in posizione privilegiate per la proposta di fondi, come per esempio diverse iniziative in fase di disegno da parte delle Regioni italiane che poi lascerebbero la società civile implementare nei Paesi selezionati. Ovviamente, anche per rimarcare il peso politico del Paino ed accentuare il carattere univoco del ‘’sistema Italia’’ da portare avanti, alcuni partners sono stati privilegiati nelle interlocuzioni con la DGCS e il MAECI, come ad esempio l’Eni, sia per progetti rivolti a scopi sociali sia per iniziative più di business, condiviso fra imprese italiane e africane: è l’esempio, della filiera del caffè, che sembra essere il focus tecnico di diverse azioni lanciate in Paesi come Tanzania, Kenya e Uganda e dove grandi imprese italiane avranno il compito di creare partenariati con imprese africane nel settore (vedi Illy e Lavazza).
  • ‘’I nodi da scogliere’’ e le domande per il futuro: in prospettiva, soprattutto le Organizzazioni della società civile hanno avuto difficoltà a capire le modalità di approccio e presentazione progetti, vedendo però contemporaneamente somme considerevoli già assegnate ad altri partners. Quanti saranno davvero i fondi ‘’nuovi’’ disponibili anno per anno, e quanti progetti già in corso o con fonti di finanziamento diverse (e.i. investimenti autonomi di ENI) saranno calcolati nel bilancio dell’investimento del Piano?  AICS risentirà della presenza del Piano Mattei in termini di fondi disponibili? Questi i maggiori punti da seguire nel prossimo futuro per il monitoraggio del Piano Mattei.

Marco Tamburro


[1]  Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo è l’organo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che si occupa di definire gli obiettivi, la priorità e gli indirizzi strategici degli interventi di cooperazione allo sviluppo[1], di valutarne gli impatti e di verificare il raggiungimento degli scopi prefissati.

Inoltre, rappresenta l’Italia nelle sedi internazionali deputate alle politiche di cooperazione, sovrintende all’erogazione di contributi statali alle ONG ed agli interventi di emergenza umanitaria.

usaid

USAID ed Europa: perché la chiusura di USAID è un ulteriore atto di sfida all’Europa

Marco Tamburro

L’83% dei programmi gestiti dall’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), in un’epurazione da sei settimane, ha ufficialmente eliminato interi programmi di assistenza emergenziale e per lo sviluppo che avevano richiesto decenni di lavoro.

Il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato i massicci tagli lunedì, confermando che circa 5.200 dei 6.200 programmi globali di USAID sono stati chiusi. Le iniziative superstiti – meno di un quinto del precedente portafoglio di aiuti americani – saranno assorbite dal Dipartimento di Stato. ‘’ Finanziamo i programmi indipendentemente dal fatto che siano allineati o meno con la politica estera. È ridicolo…’’ : ovviamente dipende dalla prospettiva e i criteri che si usano, considerando che gli Stati Uniti hanno ‘’scelto’’ di investire circa 9.9 miliardi di dollari solo nel 2024 per i piani di risposta umanitari elaborati dalle nazioni Unite in tutto il Mondo che sicuramente non influivano direttamente sulla politica americana, ma miravano a salvare milioni di vite attraverso programmi d’urgenza.

Si potrebbero citare anche i cento miliardi complessivi investiti nel programma PEPFAR creato da George W. Bush e che ha sempre ricevuto un voto bipartisan al suo finanziamento. La nuova amministrazione ha annunciato la sospensione degli aiuti in concomitanza con l’ordine di ritirare gli Stati Uniti dal coordinamento globale sui programmi sanitari e climatici e con la minaccia di coinvolgere gli alleati europei in una guerra commerciale. La decisione è legata comunque anche al panorama di politica interna, considerando la priorità dell’amministrazione Trump di ridurre la macchina e le spese federali.

L’improvviso congelamento degli aiuti esteri statunitensi è diventato un chiaro avvertimento del cambiamento dell’approccio degli Stati Uniti all’impegno globale e fa pressione sui governi europei per contenerne le conseguenze. Collettivamente, l’Unione Europea è tra le maggiori fonti di aiuto allo sviluppo del mondo, con oltre 52 miliardi di dollari all’anno. Sul breve periodo, forse la mossa può effettivamente essere interpretata come una sfida indiretta all’Europa che potrebbe dover aprire un nuovo fronte di negoziati e sforzi politici e finanziari, per colmare il gap lasciato scoperto dai fondi americani, soprattutto sul continente africano.

Dall’altra parte, uno scenario possibile, per quanto cinico e molto poco etico, potrebbe vedere gli Stati Uniti tornare a negoziare in bilaterale con ogni partner africano dei possibili aiutati ma legati alle concessioni sulle risorse naturali di ogni stato e i vantaggi economici delle imprese americane.

In questo caso l’Unione Europea si troverebbe a intrattenere rapporti con gli Stati africani ma in competizione con la nuova postura statunitense votata solo agli affari, finanziare le ONG e le Nazioni Unite per i programmi umanitari e di sviluppo senza offrire i vantaggi economici che il competitor americano offrirebbe. Con una disponibilità finanziaria sempre più ridotta a fronte del nuovo riarmo sul fronte dell’Est Europa, l’Unione Europea dovrà dimostrare molta unione e anche cercare di coinvolgere più direttamente dei Paesi che potrebbero parzialmente sostituirsi agli Stati Uniti nel finanziamento dei programmi di sviluppo e emergenze, come Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita.

Questi Paesi, in realtà, hanno già aumentato i loro contributi e coinvolgimento nell’assistenza umanitaria, come l’Arabia Saudita che ha contribuito nel 2024 con 1.2 miliardi di dollari ai piani di risposta umanitari, seguita anche dagli Emirati Arabi con 787 milioni, il Qatar con 483 milioni e il Kuwait con 51 milioni[1].

Diversificare gli interlocutori e aprire nuove forme di finanziamento e dialogo sembra essere l’unica strada per l’Unione Europea per far fronte alla nuova aggressività e ostilità americana, che ridisegna il panorama internazionale.

Marco Tamburro


[1] https://fts.unocha.org/global-funding/donor-grouped/2024?order=total_funding&sort=desc

M23 i

Crisi in DRC: chi sono gli M23 e le mire espansionistiche del Rwanda

Marco Tamburro

L’offensiva su Goma, nel Nord Kivu, da parte dell’M23 è stata lanciata a gennaio ed è sostenuta, ancora una volta, dal Rwanda. La presa della capitale del Nord Kivu è durata dal 23 al 30 gennaio. L’offensiva fa parte della più ampia campagna espansionistica dell’M23 nelle province del Nord e del Sud Kivu della RDC, ripresa nell’ottobre 2024 dopo una pausa. Nel gennaio 2025 i ribelli dell’M23 hanno compiuto una rapida avanzata nelle regioni del Kivu, prima conquistando Goma e poi Bukavu nel Sud Kivu. Mentre si allarmano i vicini Uganda e Burundi, anche gli organi Istituzionali come l’Unione Africana e gli Stati del sud est (SADC) sono alla ricerca di una mediazione politica. Al di là del noto supporto rwandese, l’M23 è un’organizzazione paramilitare. È storicamente considerata filo-ruandese per la presenza maggioritaria di tutsi, e parte del gruppo dell’Alleanza del fiume Congo (AFC). L’M23 è composto da ex ribelli del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP) integrati nell’esercito congolese in seguito all’accordo di pace firmato il 23 marzo 2009 tra il CNDP e Kinshasa, che si sono poi ammutinati nell’aprile 2012, ritenendo che il governo congolese non stesse rispettando i termini dell’accordo.

Già nel 2012, i ribelli dell’M23 hanno conquistato gran parte del Nord Kivu e il 20 novembre 2012 già presero il controllo di Goma. Questo atto di guerra scatenò una forte mobilitazione della comunità internazionale per evitare una nuova deflagrazione nella regione. Durante la mediazione che ha riunito i Paesi africani dei Grandi Laghi, si raggiunse un accordo per il ritiro dell’M23 da Goma, in cambio dell’apertura di negoziati con le autorità congolesi.

Nel novembre 2021, l’M23, che fino ad allora era rimasto discreto, è tornato attivo nella Repubblica Democratica del Congo e, dal 2022, ha intensificato la sua offensiva nella regione del Kivu, prendendo il controllo di aree strategiche.

Ovvio però, che la presenza militare dell’M23 e del suo leader, non distolgono l’attenzione da quello che è il vero protagonista della strategia dietro i recenti attacchi, cioè Paul Kagame. L’Est del Congo è ricca di minerali e altre risorse naturali, e la presenza di gruppi armati e scarso controllo da parte del governo di Kinshasa, rendono molto più facili il controllo e l’esportazione illegale di queste risorse.

Incredibile il fatto che il Rwanda, che sarebbe in teoria poverissimo di coltan, sia un grand esportatore verso l’UE, tanto da aver sottoscritto un accordo con la Commissione europea nel febbraio 2024[1].

Il 13 febbraio, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza per sospendere un accordo di cooperazione con il Ruanda su un trio di minerali fondamentali (The so-called 3T minerals — tin, tungsten, tantalum) per la transizione energetica pulita, citando i loro legami con le violenze in corso nella Repubblica Democratica del Congo.

Le collaborazioni fra l’UE e il Rwanda non finiscono qui, e gli imbarazzi dell’UE riguardano anche i 320 milioni di euro su climate-proof cities, 100 milioni su educazione primaria, e i 21 milioni per la missione rwandese nel Nord del Mozambico a protezione del gasdotto TOTAL, che dovrebbe poi rifornire anche l’UE nella sua strategia di diversificazione di approvvigionamento.

Risorse naturali, gas, Unione Europea ed etica, non vanno sempre d’accordo.

Marco Tamburro


[1] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_24_822

Burundi

Venti di colpo di Stato in Burundi: la fragilità dello stato e l’effetto Rwanda

Marco Tamburro

L’offensiva verso la capitale della provincia del Nord Kivu, Goma, da parte dell’M23, è stata rilanciata a gennaio di quest’anno dopo diversi mesi di calma apparente. A dispetto delle dichiarazioni ufficiali, l’apparato militare dell’M23, moderno e sofisticato, viene finanziato da tempo dal Rwanda. Ci sono voluti solo pochi giorni, fra il 23 e il 28 gennaio, per prendere prima l’aeroporto e poi i punti chiave di Goma. Ai primi di febbraio, è toccato poi anche a Bukavu, capitale del Sud Kivu, cadere nelle mani dei ribelli rwandesi con una precipitosa ritirata anche degli altri contingenti burundesi e sudafricano.

Se l’Unione Africana e la SADC hanno cercato di avviare dei negoziati direttamente col Rwanda per cercare una soluzione diplomatica, la regione resta una grande polveriera. Se il Rwanda ha delle chiare mire sul controllo dei Kivu per ragioni di sicurezza interna e grande presenza di materie prime, dall’altra parte il Burundi si trova in una posizione di estrema fragilità: geograficamente, al momento il Burundi si trova con un movimento pro-Rwanda come l’M23 alle porte del Paese dislocato su tutta la frontiera, oltre al confine chiuso da tempo col Rwanda. Facile immaginare come l’M23, se volesse, avrebbe facile accesso a vari punti della frontiera fra Rwanda e Burundi per sfruttare la debole presenza dell’esercito burundese in vari punti. Se però, a questo punto, un attacco imminente non sembra essere previsto, potrebbe anche non essere necessario se si volesse arrivare, in un altro modo, ad avere un nuovo regime politico molto più favorevole a Kigali. In Burundi, una storica minoranza tutsi ha in mano la maggior parte dell’economia e dell’esercito, a fronte della maggioranza della popolazione di etnia hutu. Inoltre, c’è da considerare anche la presenza della milizia Red-Tabara (Résistance pour un État de Droit au Burundi), milizia ribelle formatasi nel 2015 in seguito alla crisi politica del Paese e sostenuta sempre dal Rwanda.

In questo quadro la leadership hutu del Burundi, guidata da Évariste Ndayishimiye, sente tutta la pressione che si aggiunge alla precaria situazione del Paese: penuria di carburante, potere di acquisto delle famiglie sempre più ridotto, malnutrizione cronica e insicurezza alimentare esacerbati dal rifiuto politico di riconoscere questa situazione come vera crisi umanitaria.

In questo quadro ONG e agenzie UN lavorano da diversi anni per mitigare la crisi cronica del Paese, ma sono anche attenti alla sicurezza del loro personale se la situazione dovesse precipitare. Proprio per questi motivi, a metà febbraio, la rappresentante del programma alimentare mondiale (WFP) aveva diffuso delle istruzioni di sicurezza interne al PAM sui social media. In queste istruzioni, il WFP invitava il suo personale a fare scorte di cibo, acqua e carburante per due settimane; una raccomandazione ritenuta allarmistica dalle autorità burundesi, che l’hanno vista come un tentativo di seminare il panico tra la popolazione. Per questo motivo, Il governo ha deciso di espellere la rappresentante del WFP, e la responsabile della sicurezza dell’organizzazione che hanno lasciato il Paese il 14 febbraio.

In questo clima, è facile percepire che la presenza delle forze burundesi prima sul territorio dell’RDC e poi in posizioni difensive, oltre alla presenza del contingente sudafricano che si è ritirato dall’RDC, continuino a generare tensioni col Rwanda; nonostante ciò, il 3 febbraio, il presidente Ndayishimiye ha annunciato un patto di non belligeranza che dovrebbe scongiurare un’aggressione del Rwanda, ma non si sa se questo includa anche l’M23. La tensione però non diminuisce infatti, il 27 febbraio, durante un comizio pubblico a Bukavu, alla presenza di Corneille Nangaa, leader dell’M23, due distinte esplosioni hanno fatto undici morti; il leader dell’M23 ha affermato che le granate utilizzate nelle esplosioni sono dello stesso tipo di quelle usate dall’esercito del Burundi nella RDC.

Nei prossimi mesi, sarà ovviamente fondamentale capire quale sarà l’evoluzione del conflitto fra M23 e RDC, se le Istituzioni internazionali sanzioneranno il Rwanda e se gli altri attori regionali saranno in qualche modo colpiti da conseguenze indirette. Nello specifico contesto del Burundi, si delineerà meglio quale anima riuscirà a migliorare la posizione del Paese, se si arriverà ad una normalizzazione dei rapporti col Rwanda o se la questione etnica esacerberà i conflitti interni come in passato.

mozambico

Il Mozambico si risveglia regime: il periodo post-elettorale più traumatico dalla guerra civile

Marco Tamburro

Al 4 novembre 2024 sale a 17 il bilancio dei morti confermati negli scontri fra polizia e manifestanti per le strade delle maggiori citta mozambicane. Ai 17 deceduti sulle strade, si aggiunge anche l’omicidio per mano ignota di Elvino Dias e Paulo Guambe, esponenti di spicco del nuovo partito PODEMOS, maturoatis il 19 ottobre scorso. Proprio dalla formazione politica PODEMOS si deve partire per spiegare l’ondata di violenze dell’ultimo mese: dopo qausi trent’anni di guerra civile e processo di pace ormai concluso, le elezioni presidenziali 2024 potevano essere celebrate come le prime senza la presenza di un ala militare vicina ad uno dei partiti che concorrevano alla presidenza. Da sempre il Mozambico si è contraddistinto per il bipolarimso fra FRELIMO, uscita vincitrice dalla guerra civile e da sempre al potere, contro la RENAMO, che nel 2018 aveva perso il leader storico Alfonso Dhalakama. Da allora Ossufo Mohamade aveva ripreso la gudia della RENAMO ma nulla era cambiato a livello dei risultati elettorali: diversi i rapporti post-elezione di USAID e UE a seguito di osservazioni, avevano riportato, nelle varie tornate elettorali, un susseguirsi di frodi, brogli, intimidazioni e, in generale, nessuna separazione tra il Governo e il partito FRELIMO.

In questo quadro, la frustrazione del popolo mozambicano è crescuita, non solo nei riguardi del partito al Governo incapace di migliorare la situazione della maggior parte dei mozambicani, ma anche nei confronti della RENAMO che sembrava, negli ultimi anni, avere un ruolo di oppositrice fantoccio, perfettamente calata nella realtà di secondo partito del Paese senza maggiori aspirazioni. Certo, altri partiti avevano già raggiunto alcuni risultati significativi, come il Movimento democratico del Mozambcio (MDM) capace di assicurarsi da quasi 15 anni solo la municipalità di Beira, provincia di Sofala. L’MDM, come Podemos, naceva però proprio da scissioni interne alla RENAMO che ha visto perdere consensi fino ad essere, dopo le elezioni del 4 ottobre, il terzo partito in termini di presenze di deputati in Parlamento. Infatti, è stato Venancio Mondlane, candidato indiependente supportato dalla lista PODEMOS, a registrare i maggiori successi e a rivendicare anche una vittoria, quanto meno prematura, il giorno dopo del voto e quando si erano scrutinati meno del 10% dei seggi.

Secondo la CNE, commissione nazionale elettorale, alla fine si è imposta la FRELIMO con quasi il 75% dei consensi, guidata dal candidato Daniel Chapo, successore alla guida del partito dopo che Filpe Nyussi dovrà abbandonare l’incarico di Presidente della Repubblica dopo due mandati, conforme ai dettami costituzionali.

E’ proprio dopo il 4 ottobre, però, che cominciano a susseguirsi molte segnalazioni di brogli: imposizioni di esponenti della Frelimo di tener aperti i seggi fino a tarda notte per rivedere i risultati non favorevoli, episodi di supporto della polizia locale a traporti sospetti delle casse contenti le schede elettorali, schede dei seggi ricontrollate e con risutlati diversi in sede di conteggio finale. Sembra quanto meno strano che, dopo una campagna elettorale che aveva visto Venancio Mondlane contraddistinguersi come un candidato energico, pronto a sfidare la FRELIMO, si sia arrivati poi ad un risultato col 75% dei consensi per il partito uscente. Con i risultati elettorali e l’omicio dei due esponenti di PODEMOS, sembra che molte persone abbiano tradotto queste manovre come il segnale inequivocabile che nessun cambiamento o dissenso sarebbe mai potuto essere tollerato.

Verso fine ottobre, pare che Venancio Mondlane si sia reso prima irrintracciabile, poi protagonista di una rocambolesca fuga verso il Sud Africa da cui si collega ogni giorno in diretta live su Facebook per chiamare il popolo mozambicano allo sciopero generale, preparando, la tanto temuta marcia su maputo del 7 novembre. Da qui la situazione tesa ma anche grottesca che si respira a Maputo: nonostante la vittoria elettorale, la forza militare e di polizia nelle mani del Governo e quindi della FELIMO, Mondlane ha già lanciato due appelli allo sciopero generale che vedono diverse città funzionare parzialmente, con molte persone del settore dei trasporti aderire allo sciopero e persone comuni organizzare manifestazioni spontanee in vari quartieri, soprattutto a Maputo. La repressione anche di piccole proteste pacifiche è stata da subito molto dura con le vittime fra la popolazione, oltre anche ad almeno due agenti di polizia rimasti uccisi. Se in città si respira uno strano clima per la marcia del 7 novembre, l’annuncio ha anche dato al Governo il tempo di prepararsi e suidare misure preventive: al vaglio, tra l’altro, anche un possibile stato d’emergenza nazionale che potrebbe prevedere alcune settimane di copri fuoco e esercito nelle strade.

Poco più di un anno fa, il Presidente Nyusi parlava in plenaria all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 settembre 2023: “Concludo facendo appello all’esistenza di un sistema finanziario internazionale più inclusivo, guidato da regole trasparenti e reciprocamente vantaggiose […] Per raggiungere questo obiettivo, è necessario recuperare la fiducia e il rispetto reciproco tra gli Stati, che sono i principi sacri della Carta delle Nazioni Unite”…sono queste oggi, nel 2024, le premesse che l’Africa chiede?

Marco Tamburro

Nardella

La clinical governance come missione strategica aziendale, verso una visione ottimale di efficacia assistenziale sanitaria

Professionista nell’ambito sanitario, garante di un’organizzazione impeccabile riguardo a linee guida e
protocolli dettati dalla comunità scientifica, con un forte background formativo nelle discipline manageriali;
in forte orientamento agli obiettivi e attitudine pragmatica. Si pone massima attenzione al miglioramento,
tramite eccellenti strategie di ottimizzazione del flusso del lavoro, nonché ottimizzazione dei processi
aziendali grazie alle ottime conoscenze di gestione.

Il mio lavoro di tesi intitolato “ La clinical governance come mission strategica aziendale, verso una vision ottimale di efficacia assistenziale sanitaria”; riguardo il corso di studi in “Management delle Organizzazioni pubbliche e sanitarie” presso Unitelma Sapienza. Questa analisi riflette su molte delle sfide e delle complessità coinvolte nella gestione e nell'ammodernamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in Italia. Evidenzia la necessità non solo di adottare l'aziendalizzazione, ma anche di creare condizioni culturali e operative che permettano alle persone di gestire efficacemente le aziende sanitarie.  Ecco alcune considerazioni chiave tratte da questa esposizione:

  • La sfida del cambiamento culturale e organizzativo: la riforma del SSN, sebbene abbia portato a modifiche nelle regole formali, non ha sempre determinato un cambiamento automatico nei processi decisionali e nei comportamenti all'interno delle aziende sanitarie. Il cambiamento richiede una trasformazione culturale e operativa che consenta alle persone di adattarsi ai nuovi modelli di gestione e adottare le migliori pratiche.
  • Ruolo chiave dei dirigenti: i dirigenti rivestono un ruolo cruciale nell'aziendalizzazione e nell'implementazione di innovazioni. La loro capacità di adottare nuovi strumenti di gestione, trasferire conoscenze e competenze alle persone all'interno dell'organizzazione è fondamentale per il successo del cambiamento.
  • Selezione e formazione dei dirigenti: è importante selezionare dirigenti con le qualità adeguate per gestire le aziende sanitarie in modo professionale. La formazione e la promozione dei dirigenti dovrebbero essere basate su criteri scientifici e professionali.
  • Ruolo degli organi politici: gli organi politici hanno il compito di definire gli obiettivi e le priorità del sistema sanitario in modo responsabile e basato sulle esigenze della collettività. Devono evitare interferenze eccessive nella gestione delle aziende sanitarie per scopi politici e concentrarsi sulla valutazione dell'efficacia delle politiche sanitarie.
  • Compito dei direttori generali: i direttori generali svolgono un ruolo complesso come mediatori tra le richieste dei dirigenti e le direttive degli organi politici. Devono bilanciare la necessità di contenere la spesa sanitaria con la necessità di fornire servizi di qualità. La programmazione e il controllo di gestione sono strumenti importanti per gestire questa complessa situazione.
  • Equilibrio tra aspetti economici e aspetti di qualità: nelle aziende ospedaliere, è fondamentale mantenere un equilibrio tra l'aspetto economico della gestione e la fornitura di servizi di qualità. Il processo di programmazione e controllo di gestione aiuta a garantire che questo equilibrio sia rispettato.
In sintesi, l'efficace gestione delle aziende sanitarie richiede una combinazione di competenze, cultura, governance e strumenti. È una sfida complessa che coinvolge diverse parti interessate e richiede un approccio equilibrato per fornire cure di alta qualità in modo sostenibile. Quindi, ottimizzare il management sanitario richiede un equilibrio tra efficienza operativa e qualità di erogazione, nonché una comprensione approfondita delle dinamiche di creazione di valore a lungo termine. La Clinical Governance è un'approccio che mira a integrare queste diverse componenti per garantire che le aziende sanitarie siano in grado di fornire cure di alta qualità in modo efficiente e sostenibile. In questo scenario gli amministratori devono puntare a massimizzare il valore sistemico e a garantire una corretta distribuzione dello stesso, mediante il perseguimento di vari obiettivi, tra cui :
  • determinare la missione e la strategia
  • verificare l’efficienza e l’efficacia del ciclo di direzione
  • controllare l’effettiva valorizzazione degli asset
  • riscontrare la soddisfazione di tutti gli stakeholder
  • valutare l’adeguatezza dei dirigenti apicali
 La leadership è cruciale per guidare il cambiamento e assicurarsi che il personale sia adeguatamente preparato e motivato per adottare nuove pratiche. In definitiva, l'attuazione di piani di investimento richiede una leadership forte e una gestione efficace delle risorse per raggiungere gli obiettivi di miglioramento dell'assistenza sanitaria e dell'efficienza. Questi sforzi sono essenziali per garantire una sanità di alta qualità e accessibile a tutti i cittadini.

Ippolito

Lo sviluppo normativo dell’equity crowdfunding in Italia

Dott.ssa Federica Ippolito

Laureata in Scienze dell’Economia aziendale con una tesi in Diritto dell’Economia, prosegue i suoi studi in Economia e Management aziendale presso l’Università di Roma – UnitelmaSapienza.

Appassionata di management e organizzazione aziendale a 360 gradi, ha recentemente vinto una borsa di studio per il Master Payroll Specialist, che le consentirà di ampliare le sue conoscenze in tema di gestione del personale e di metterle in pratica nel prossimo futuro.

Lo sviluppo normativo dell’equity crowdfunding in Italia L'Italia è stata il primo Paese in Europa a adottare una normativa specifica sull’equity crowdfunding nel 2012. Negli anni successivi, la disciplina ha subìto diverse modifiche, apportando significative variazioni alle sue caratteristiche e peculiarità. Sin dall’inizio, l'obiettivo principale è stato sviluppare un quadro normativo che avesse favorito il finanziamento delle piccole e medie imprese (PMI) anche attraverso fonti non bancarie. Infatti, l'equity crowdfunding è stata concepita come una forma di finanziamento alternativa, particolarmente utile per le imprese in fase di start-up o caratterizzate da un elevato rischio operativo, difficilmente finanziabili da banche tradizionali. Il Decreto-legge n. 3 del 24 gennaio 2015 e la Legge di Bilancio 2017 all’art. 1, comma 7 hanno esteso l'accesso al crowdfunding alle PMI innovative ed è stato concesso agli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e alle società che investono principalmente in start-up/PMI innovative di effettuare collocamenti online dei propri capitali. È stata inoltre introdotta la possibilità di quotare le PMI costituite come società per azioni (S.p.A.) tramite portali di crowdfunding. Nonostante le sfide imposte dalla pandemia da Covid-19, il 2020 può essere oggi considerato come un anno propizio per gli investimenti alternativi che si sono sviluppati in seguito. La crisi sanitaria da Covid-19 è stata infatti come un catalizzatore nel motivare gli investitori ad esplorare forme di investimento non convenzionali. L'analisi condotta, sia a livello nazionale che europeo, a partire dal Decreto-legge n°179/2012 fino alle ultime novità predisposte dal Regolamento Consob del 2023 (22720/2023), evidenzia la volontà del legislatore di rendere il modello equity- based accessibile a tutte le imprese. Non si è fatta distinzione tra start-up e PMI innovative, ma il legislatore ha introdotto una normativa unitaria per entrambe le categorie. È stato proprio grazie ad un solido percorso legislativo, come è avvenuto in Italia, che l'equity crowdfunding ha potuto affermarsi anche in altre parti d’Europa. Di fatto, l’Europa e i singoli stati membri si stanno muovendo costantemente al fine di migliorare la sua regolamentazione e agevolarne il processo. Ogni Paese ha il compito di creare una normativa dedicata per favorire lo sviluppo di questo innovativo approccio di finanziamento, il quale solo di
recente è stato regolamentato e adeguatamente armonizzato anche a livello europeo. È quindi evidente la necessità di implementare e migliorare costantemente la regolamentazione specifica del crowdfunding affinché possa esserne promosso uno sviluppo costante, controllato e armonizzato in Italia e in Europa. Sebbene il processo di riforma normativa possa richiedere più tempo e risorse rispetto all'adattamento di regolamenti preesistenti, questo approccio garantirà una crescita sostenibile del fenomeno nel lungo termine.

Senza titolo

Il futuro dell’intervento militare in Mozambico

Marco Tamburro

La missione dei Paesi del Sud-Est dell’Africa (SADC) in Mozambico dovrebbe concludersi a luglio, ma alcune truppe rimarranno, poiché i Paesi vicini temono che l’insurrezione jihadista a Cabo Delgado stia riprendendo piede

Nel corso di tre anni, le forze della SADC hanno aiutato l’esercito mozambicano a riconquistare il territorio un tempo detenuto dai militanti e a stabilizzare Cabo Delgado per un certo periodo, ma visti i recenti attacchi di Aprile 2024, l’insurrezione è tutt’altro che debellata. In sostanza, la campagna militare pluriennale non è riuscita a infliggere un colpo decisivo e una recente recrudescenza degli attacchi, col graduale ritiro dei Paesi SADC, suggerisce che i combattenti si stanno riorganizzando.

A gennaio, la SADC ha dichiarato che avrebbe ritirato la forza alla scadenza del suo attuale mandato, il 15 luglio 24. Il Botswana e il Lesotho si sono ritirati ad aprile, mentre Angola e Namibia stanno progressivamente lasciando il paese secondo le scadenze previste.

Il Sudafrica, i cui 1.495 soldati costituiscono i due terzi della missione, sarebbero dovuti tornare a casa nelle prossime settimane, ma con una mossa a sorpresa, il 23 aprile, hanno annunciato che manterranno le sue forze di difesa a Cabo Delgado fino alla fine dell’anno. In effetti, lascerà 200 persone fino al marzo 2025 per affrontare “attività marittime illegali” lungo la costa del Mozambico.

Ad aprile, il Rwanda ha dichiarato di voler aggiungere truppe al suo dispiegamento di 2.500 uomini, secondo i termini di un accordo bilaterale segreto con Maputo. Apparentemente, anche la Tanzania vuole mantenere tra i 400 e i 500 soldati in Mozambico, soprattutto preoccupata per attacchi lampo che potrebbero essere organizzati fra gli 860 km di confine tra i due Paesi.

Di conseguenza, gli accordi militari in corso sembrano destinati a compensare la fine della missione SADC, ma regna l’incertezza sul quadro in cui opereranno le truppe straniere. I funzionari sudafricani affermano che Pretoria sta semplicemente prolungando il turno di servizio dei suoi soldati per organizzare un ritiro ordinato nel corso dell’anno. Le truppe tanzaniane potrebbero rimanere in base a un accordo bilaterale con Maputo o lavorare sotto la bandiera della SADC con il Sudafrica almeno fino a dicembre. In ogni caso, il ritiro delle truppe dei vari Paesi potrebbe comunque avvenire troppo presto rispetto all’attuale situazione.

Dal 2023 in poi, la campagna combinata ha compiuto notevoli progressi, riducendo il numero degli insorti da circa 3.000 a meno di 300, secondo i diplomatici regionali e gli analisti della sicurezza in Mozambico. Le truppe straniere hanno inoltre ripreso il controllo di un numero di aree, sufficiente da consentire il ritorno a casa di oltre mezzo milione di persone dislocate. Due leader militanti di alto livello, uno mozambicano e l’altro tanzaniano, sono scomparsi nel corso del 2023. Le autorità mozambicane, nel frattempo, hanno ripristinato alcuni servizi pubblici in alcune aree precedentemente controllate dagli insorti.

In generale, fra le varie difficoltà della SADC, esiste la mancanza di fondi per la missione. La missione ha, infatti, fatto molto affidamento sui contributi degli Stati membri, ma ha sempre avuto un deficit. Il Sudafrica è quello che ha dato di più, circa 45 milioni di dollari all’anno. Un contributo di 15 milioni di euro da parte del Fondo europeo per la pace per attrezzature non letali con attività di formazione, benché gradito, è stato insufficiente per sostenere operazioni di terra su larga scala. L’Unione Africana, da parte sua, ha fornito attrezzature, ma ha erogato solo circa 2 milioni di dollari attraverso l’Africa Peace Facility per la missione.

Oltre alle carenze finanziarie, la SAMIM ha affrontato diverse altre difficoltà: nonostante i primi successi operativi, le truppe hanno faticato a debellare i piccoli gruppi di militanti sparsi su un terreno accidentato. Sembra ovvio che i numeri della missione sono insufficienti per coprire la sua vasta area di responsabilità, che ha solo poche strade decenti. Le forze sudafricane non hanno quasi più elicotteri funzionanti e non sono in grado di condurre operazioni aeree. La mancanza di attrezzature affidabili e di pezzi di ricambio ha fiaccato il morale delle truppe, che preferiscono rintanarsi nelle loro basi piuttosto che dare la caccia a unità sempre più mobili di militanti.

Il rapporto di lavoro con le forze mozambicane a Cabo Delgado ha rappresentato un’altra sfida: scarsamente addestrati e sottopagati, i mozambicani si aspettavano che le truppe del Rwanda e della SADC prendessero il comando nell’affrontare gli insorti. Ufficiosamente, funzionari della SADC si sono lamentati amaramente della mancanza di comunicazione e cooperazione da parte dell’esercito mozambicano che, secondo loro, ha reso quasi impossibile la condivisione di informazioni. La SAMIM ha incontrato ostacoli simili nelle sue attività non militari.

L’esercito mozambicano continua inoltre a dover fare i conti con la carenza di materiale e con le difficoltà di rifornimento delle unità dislocate in avanti. Il governo ha chiesto all’Unione Europea più equipaggiamento militare, ma Bruxelles è riluttante ad accettare. Dal 2022, gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno addestrato forze di reazione rapida (QRF) nell’esercito, nella marina e nell’aeronautica. Le QRF dovrebbero assumere un ruolo di primo piano nella lotta agli insorti a partire da dicembre, ma gli scarsi risultati dell’esercito in termini di pianificazione e logistica fanno sì che queste forze speciali possano soffrire di una mancanza di supporto e rifornimenti critici una volta diventate operative.

Tuttavia, il governo di Maputo sembra abbastanza soddisfatto dello stato delle cose a Cabo Delgado, essendo più fiducioso dei Paesi vicini di poter respingere una recrudescenza jihadista con l’aiuto del Rwanda e, in misura minore, della polizia comunitaria.

La decisione di mantenere le truppe rwandesi nelle zone chiave di Palma e Mocímboa da Praia, nonché nei pressi delle miniere di grafite di Ancuabe, sembra chiaro che il governo ha fatto della salvaguardia delle sue rosrse naturali una priorità. Nell’ultimo anno, TotalEnergies ha valutato se riaprire il progetto del gas, ma la valutazione dell’azienda sulla situazione della sicurezza resta negativa. In caso di maggior mancanza di truppe, il progetto del gas potrebbe tornare a essere un bersaglio per l’insurrezione.

A questo punto l’ago della bilanca da un punto di vista militare, sembra essere il Rwanda; la sua presenza in Mozambico ha suscitato poche reazioni sul piano dei diritti umani, poiché le truppe rwandesi sono ben disciplinate e hanno un buon rapporto con i civili. Tuttavia, vari Paesi UE continuano a temere che Kigali stia intervenendo a Cabo Delgado non solo per stabilizzare la provincia, ma anche per promuovere i propri interessi economici; il Rwanda, attraverso Crystal Ventures, società che rappresenta il braccio d’investimento del partito al potere, è coinvolto in una serie di attività in Mozambico, tra cui l’estrazione mineraria, l’edilizia e la sicurezza privata.

Dal punto di vista del Rwanda, nuovi fondi UE sembrano l’unica soluzione per continuare l’intervento. In precedenza, il Rwanda ha già ottenuto un contributo di 20 milioni di euro dal Fondo europeo per la pace, in scadenza di rinnovo, ma gli Stati membri dell’UE sono in disaccordo sulla richiesta, dato il sostegno di Kigali al movimento ribelle M23 nella RDC orientale.

Marco Tamburro

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La Wagner: Africa terreno di conquista

Marco Tamburro

La Wagner: Africa terreno di conquista

Le attività in Africa e l’ascesa della Wagner di Prigozhin

Dal 2017, la Russia ha ampliato in modo aggressivo la sua presenza militare in Africa attraverso il Gruppo Wagner, un insieme di società di facciata e di gruppi di mercenari russi precedentemente di proprietà del defunto uomo d’affari Yevgeny Prigozhin. Anche nel Congo orientale, l’entusiasmo è palpabile per i “russi”, un termine generico per indicare i circa 1.000 mercenari dell’Europa dell’Est di stanza a Goma, e per il governo russo, che a marzo 2024 ha dichiarato di aver approvato un accordo provvisorio di cooperazione militare con Kinshasa.

Dal 2022, quest’area è colpita da uno dei conflitti più catastrofici del mondo. Con l’aiuto velato del Rwanda, la milizia dell’M23 ha violentato e massacrato la provincia del Nord Kivu e si è già avvicinata a più riprese alla capitale regionale Goma, come già accaduto diverse volte nello scorso decennio.

Mentre i Paesi occidentali sanzionavano Mosca dopo l’annessione della Crimea nel 2014, il Cremlino ha iniziato a spingere per firmare accordi di cooperazione militare con varie nazioni africane. Tra questi, un accordo militare del maggio 2019 con il Congo-Brazzaville/Repubblica del Congo, che ha visto la Russia inviare ‘’consiglieri’’ militari nel Paese e contribuire alla manutenzione delle sue attrezzature di fabbricazione sovietica. Il Cremlino ha affermato di aver siglato un accordo simile con il Congo DRC ad inizio 2024.

La posizione degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti hanno designato il Gruppo Wagner come organizzazione criminale transnazionale nel gennaio 2023 e il Tesoro ha sanzionato persone e società collegate.

Negli ultimi cinque anni, le truppe di Wagner sono state individuate in Mali, Sudan, Repubblica Centrafricana, Libia e Mozambico e i suoi mercenari sono stati accusati di torture, stupri, rapimenti di bambini ed esecuzioni sommarie di civili oltre che contrabbando di oro e sfruttamento illegale di minerali, utilizzando il Camerun come hub logistico e di trasporto. Il gruppo si è anche impegnato in ingerenze elettorali (attraverso AFRIC, la falsa organizzazione di monitoraggio elettorale di Prigozhin) in Congo, Zimbabwe, Madagascar, Mozambico e Sudafrica.

A maggio 2023 si riteneva che la Wagner avesse sul campo circa 5.000 mercenari di stanza in Africa, molti dei quali ex soldati e detenuti russi. Il Gruppo Wagner e altre forze e “consiglieri” emergenti sostenuti dallo Stato russo sfruttano le risorse e le popolazioni dei Paesi africani per il loro tornaconto personale, visto che le risorse naturali diventano l’unico mezzo a disposizione degli Stati per pagare il costoso supporto militare della Wagner. 

‘’Sono una minaccia per la stabilità e la prosperità dei Paesi in cui sono presenti”, ha dichiarato un portavoce del Dipartimento di Stato americano in un comunicato.

E se la Russia può aver compiuto un’impressionante impresa di pubbliche relazioni anche in Congo DRC, convincendo i cittadini congolesi di essere un vero alleato, le azioni delle sue forze mercenarie in altre parti del continente raccontano una storia molto diversa. “Queste forze non riducono il terrorismo, ma piuttosto esacerbano la minaccia perseguendo tattiche draconiane e violente. Ciò si traduce in un drammatico aumento della violenza ciclica”, ha proseguito il Dipartimento di Stato.  

Da Wagner ad Africa Corps

Prigozhin e altri comandanti della Wagner sono morti nel quadro di un’esplosione che ha fatto precipitare il suo jet privato nell’agosto 2023, due mesi dopo aver lanciato un ammutinamento di breve durata che Putin ha definito un atto di tradimento. Wagner è stato sciolto alla fine del 2023 e i suoi combattenti sono stati trasferiti a unità sotto il controllo delle forze armate russe.

Ma il Gruppo Wagner continua a vivere in Africa e, secondo quanto riferito, è ora controllato direttamente dal Cremlino sotto il nuovo nome di Africa Corps.

A febbraio 2024, la BBC ha riferito che il generale Andrei Averyanov, capo di un’unità di intelligence militare russa specializzata in “omicidi mirati e destabilizzazione di governi stranieri”, ha assunto la guida di Africa Corps e sembra che stia ampliando gli accordi con Capi di Stato e giunte militari in Libia, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Mali e Niger per contribuire a consolidare il controllo in cambio della cessione di diritti minerari alla Russia. Lo scorso giugno il Cremlino ha dichiarato che lo Stato russo non ha alcun ruolo negli interessi commerciali multimilionari di Wagner in Africa.

Marco Tamburro