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I mandati d’arresto della Corte penale internazionale e l’immunità per i Capi di Stato e di Governo: dal caso al-Bashīr al caso Putin

Dott. Gaetano Fasano.

Laureato con lode in Scienze dell’Amministrazione e della Sicurezza presso l’Università degli Studi di Roma – Unitelma Sapienza. Funzionario presso l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, specializzato in attività antifrode e controlli, cooperazione internazionale e scambi informativi. Vanta una ultraventennale esperienza nella Pubblica Amministrazione, sia nel comparto sicurezza che nel comparto IT. Attualmente impegnato in percorsi formativi riguardanti le relazioni internazionali nel settore commerciale. La passione per le discipline internazionalistiche e per l’attualità sociopolitica, unita alla competenza lavorativa anche in ambito di polizia giudiziaria, lo hanno condotto ad approfondire gli sviluppi degli eventi del conflitto russo-ucraino, in particolare sul piano delle responsabilità penali e delle competenze in merito all’accertamento delle stesse da parte della Corte penale internazionale.

I mandati d’arresto della Corte penale internazionale e l’immunità per i Capi di Stato e di Governo: dal caso al-Bashīr al caso Putin Con un comunicato stampa del 17 marzo 2023, la Corte penale internazionale ha reso noto di aver emesso un mandato d’arresto nei confronti del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Vladimirovich Putin, e della Commissaria per i diritti dell'infanzia presso l'ufficio del Presidente della Federazione Russa, Marija Alekseyevna L’vova-Belova, con l’accusa di crimini di guerra di deportazione e trasferimento illegale di popolazione, in particolare bambini, dalle aree occupate dell’Ucraina alla Federazione Russa. Ma cosa vuol dire, nello specifico? Quali effetti, all’atto pratico, possono avere questi mandati d’arresto? E poi: cos’è e in base a quali presupposti agisce la Corte penale internazionale? Nel tentativo di offrire una risposta a questi e ad altri interrogativi, appare opportuno operare una descrizione del percorso storico che ha condotto alla “instaurazione”, nel 1998, della Corte penale internazionale, nonché anche una rappresentazione delle attività poste in essere dalla Corte da quando ha iniziato la sua attività nel 2002, soffermandosi su alcuni “casi” che hanno permesso l’affermazione di taluni principi fondamentali su cui basare le decisioni della stessa Corte. Partendo dalle prime esperienze di “tribunali penali internazionali”, quali quello di Norimberga e di Tokyo, orientati a sottoporre a giudizio i responsabili dei più gravi crimini perpetrati nel corso della Seconda guerra mondiale, a loro volta ispirati dalle risultanze del Trattato di Versailles del 1919, che intendeva sottoporre a un processo sovranazionale l’imperatore tedesco Guglielmo II, accusato di crimini contro la pace e contro l’umanità, si giunge fino agli eventi della cosiddetta ”Operazione militare speciale in Ucraina” del 2022, nonché ai fatti immediatamente successivi, passando dallo storico evento legato alla convocazione della Conferenza dei plenipotenziari e alla firma dello Statuto di Roma nel 1998 (atto con cui è stata sancita la nascita della Corte penale internazionale) e dalle proteste dell’”Euromaidan” del 2014, di cui si analizzano le origini e le caratteristiche. Si analizzano e si descrivono, inoltre, le prime attività significative della Corte, non solo in termini temporali ma anche e soprattutto per quel che riguarda la rilevanza che alcuni fatti attenzionati dalla stessa hanno assunto nelle sue determinazioni successive. A tal proposito, non si procede solo e soltanto ad esporre e analizzare le prime attività di indagine della Corte e le sue prime condanne o assoluzioni, ma si pone particolare attenzione agli eventi che hanno visto coinvolto l’ex Presidente del Sudan Omar Hasan Ahmad al-Bashīr, destinatario di due diversi mandati d’arresto da parte della Corte per crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio, che sarebbero stati posti in essere nel noto “teatro” del Darfur nel corso dell’omonimo conflitto. Esaminando la specifica circostanza e gli effetti che tali mandati di arresto hanno avuto sul piano internazionale, soprattutto alla luce di quanto (non) fatto in termini di cooperazione da parte di vari Stati parte dello Statuto di Roma, tra cui in particolare il Sudafrica, si arriva infine a trattare dei parallelismi e delle divergenze tra il caso al-Bashīr e il caso Putin, ponendo l’attenzione in particolar modo sul tema della responsabilità, con un focus sulle differenze tra i due diversi soggetti destinatari dei mandati d’arresto (Putin e L’Vova-Belova), nonché sulla questione delle immunità per i Capi di Stato e di Governo previste e regolate dagli articoli 27 e 98 dello Statuto di Roma.

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Europol e la cooperazione di polizia per il contrasto alla criminalità organizzata nell’UE

Dott.ssa Angelica Speciale

Dott.ssa Speciale Angelica laureata nell’Aprile del 2023 in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza con tesi in Diritto europeo e sicurezza.

Interessata ed appassionata alle tematiche relative alla sicurezza e al diritto ha conseguito precedentemente alla Laurea magistrale in Giurisprudenza:

  • la Laurea triennale in Scienze dell’Amministrazione e Sicurezza presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza
  • il Master di Primo livello in Criminologia e Scienze investigative presso l’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza

Durante il corso degli anni unitamente al proprio percorso di studi ha approfondito e coltivato le proprie conoscenze nell’ambito della sicurezza nazionale, comunitaria ed internazionale. Analizzando in particolar modo sia il processo evolutivo della sicurezza, che i processi di cooperazione interna ed esterna nelle attività di contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo nei diversi ambiti di applicazione.

A seguito del conseguimento della Laurea magistrale in Giurisprudenza sta proseguendo e migliorando la propria formazione nell’ambito giuridico.

Nel 2013 si è arruolata nell’Esercito Italiano dove attualmente ricopre il grado di Graduato Scelto nella categoria Graduati.

Europol e la cooperazione di polizia per il contrasto alla criminalità organizzata nell’UE.
Tra gli anni ottanta e novanta del Novecento dopo la stipulazione del Trattato di Roma, del Trattato di Maastricht e del Trattato di Schengen, l’Unione Europea ha dovuto affrontare la crescente diffusione del crimine all’interno del territorio europeo a seguito della liberalizzazione delle frontiere interne. L’abbattimento delle frontiere tra gli Stati membri, oltre che ad apportare dei vantaggi come la libera circolazione all’interno dell’Unione di persone, mezzi e capitali; ha favorito la cooperazione nelle attività di scambio tra gli Stati membri; ma ha apportato anche una maggiore vulnerabilità della sicurezza dell’Unione. L’UE al fine di contrastare la diffusione della criminalità, ha ritenuto necessaria una maggiore intesa tra le forze di polizia degli Stati membri rispetto al passato, impegnate nella lotta e contrasto delle varie forme di criminalità e del terrorismo. A tale scopo l’Ue ha istituito l’Ufficio di polizia europeo, l’Europol, capace di fronteggiare e contrastare le minacce e i rischi incombenti sul territorio europeo, garantendo una maggiore cooperazione improntata sia sulla sicurezza interna che esterna. Le attività di cooperazione svolte dall’Europol ricoprono diversi ambiti trattando: la prevenzione e la lotta al terrorismo, la tratta degli esseri umani, il traffico illegale di stupefacenti, le reti d’immigrazione clandestina, il traffico illecito di autoveicoli e di materiale radioattivo e nucleare, la frode organizzata,
la falsificazione di denaro e il riciclaggio di denaro derivante dalla criminalità internazionale cercando in tal modo di rendere l’Unione più sicura. Inoltre durante l’esecuzione dei propri compiti l’Europol si avvale di alcune figure come le Unità nazionali Europol e gli ufficiali di collegamento, che sono il filo conduttore tra gli Stati membri e l’Europol, permettendo loro lo scambio di dati ed informazioni, ricorrendo durante lo scambio informativo a sistemi specializzati per rendere più celeri e sicure le attività di scambio, garantendo la protezione e l’accesso dei dati tramite un maggiore controllo attraverso dei controlli interni, esterni ed incrociati. Per di più l’Europol ha dovuto tener conto dell’evoluzione delle minacce che nel tempo sono cambiate, difatti per minaccia non si considera solo quella fisica, ma anche il prodotto di sempre più ingegnosi criminali, richiedendo a sua volta maggiori misure di sicurezza, considerando quindi anche le minacce CBRN, le quali possono essere perpetrate ed innescate con l’uso di strumenti informatici creando delle gravi conseguenze per la nostra quotidianità. In merito a ciò l’Europol per contrastare gli attacchi terroristici ha istituito dei Centri specializzati come il Centro europeo di contrasto antiterrorismo, il Centro europeo per la lotta al traffico di migranti e il Centro europeo contro il cyber crime. I quali si occupano di contrastare e sanzionare sia gli autori che coloro che supportano gli attacchi terroristici, supportandoli mediante il reperimento dei materiali utili per le organizzazioni terroristiche e il riciclaggio di denaro avvalendosi del web.
Durante lo svolgimento dei propri compiti l’Europol ha stretto delle collaborazioni sia interne che esterne con degli Organismi internazionali come la Nato, le Nazioni Unite, l’Unione Africana e l’Osce avviando delle missioni volte alla pace e alla sicurezza. Le missioni avviate dall’Europol si distinguono in militari, civili ed ibride; e durante il proprio mandato i contingenti rispettano le regole d’ingaggio, il diritto all’uso della forza, il diritto penale internazionale, il diritto umanitario internazionale e il diritto del mare. Lo scopo di tali operazioni è quello di ristabilire lo stato di sicurezza e di pace mediante: la formazione di forze di polizia, il contrasto e la lotta alla criminalità, ripristinando così le situazioni di crisi, l’ordine e lo stato di diritto. Di rilevante importanza è stata l’istituzione dell’Eurojust, che ha permesso la formazione della rete giudiziaria europea e della Procura europea Eppo dando vita alla cooperazione giudiziaria in materia penale, e grazie alla formazione della rete giudiziaria sono possibili gli scambi di dati ed informazioni tra gli SM e l’Europol. Ma nonostante gli interventi apportati e la continua evoluzione dell’Europol purtroppo sono presenti ancora delle lacune. Angelica Speciale

Pischedda Fronte

La legittima difesa nella cyber warfare: profili giuridici internazionalistici

Dott. Alessandro Pischedda

In servizio presso la Marina Militare Italiana, specializzato in ambito procurement, con esperienza pluriennale in ambito internazionale e interforze.

Laureato con lode in Scienze dell’Amministrazione e della Sicurezza presso l’Università degli Studi di Roma “Unitelma Sapienza” con tesi in Diritto internazionale e cyber security, ha avuto peculiari esperienze lavorative che negli anni gli hanno consentito di entrare in possesso di formazione certificata in ambito giuridico, contrattualistico ed intelligence. A tal proposito l’esperienza professionale unita alla passione per le tematiche geopolitiche lo hanno portato ad approfondire nello specifico gli aspetti giuridici internazionalistici legati alla legittima difesa nel contesto cyber warfare ed in generale la possibilità di convivenza tra il diritto internazionale tradizionalmente inteso e le inedite fattispecie rappresentate da componenti cibernetiche e non state actors sempre più influenti nella risoluzione dei conflitti.

Il XXI secolo, sociologicamente identificato come l’età della “information society”, ha rappresentato uno scenario post industriale frutto di trasformazioni paradigmatiche con una inedita possibilità di scambio informativo a livello globale ed in tempo reale che ha comportato, in contropartita, la necessità di regolamentare i rapporti tra gli attori coinvolti, in particolar modo a livello internazionale. In principio infatti, non essendoci ancora riferimenti giuridici definiti in materia, vigeva una forma di coordinamento basato su prassi tecniche attivate di volta in volta in virtù delle esigenze comunicative del caso attivando consuetudini che, a seguito dell’improvvisa espansione della rete, entrarono però inevitabilmente in crisi. Oggi, nei teatri internazionali di crisi, operazioni offensive vengono quotidianamente perpetrate su palcoscenici asimmetrici dove risulta ormai difficile delineare le tradizionali distinzioni tra militare e civile, tra state e non-state actors, dove quindi, in generale, il comportamento di attaccanti e attaccati si è discostato da quanto tradizionalmente previsto da trattati e dottrina. Ecco, dunque, che la Comunità internazionale si trova sempre più spesso a valutare se siano ancora attuali ed estensibili le storiche previsioni dei trattati internazionali e cosa sia da considerare legittimo parlando di difesa e spazio cibernetico. Karl Von Clausewitz, generale prussiano, scriveva che “la difesa non esiste che contro l’attacco e ciò presupponendolo necessariamente”. Ecco, allora, che un’analisi sulla difesa nel cyber spazio impone il comprendere tre aspetti fondamentali: cosa sia effettivamente il dominio cibernetico, quale sia l’ attacco virtuale da prendere in considerazione per attivare una legittima difesa e, in caso, quali siano gli strumenti internazionalistici a disposizione per rispondere alla minaccia. Da tali quesiti discendono questioni non meno rilevanti e spesso ancora oggi irrisolte quali l’equiparazione di tali attacchi agli attacchi cinetici, la responsabilità internazionale, la proporzionalità nella legittima difesa e la possibilità di risposta cinetica a minacce che per loro natura non lo sono. Trovare una strada giuridica condivisa è sicuramente complesso. Non possiamo infatti non considerare che il diritto in ambito bellico vive sulla tradizionale dicotomia tra ius ad bellum e ius in bello e in questa rigidità terminologica la Comunità internazionale, in uno scenario mutevole quanto inedito, fatica ad implementare, se non addirittura semplicemente ad applicare, la “via del diritto”. Ci si è posti dunque l’arduo intento di analizzare la possibilità di convivenza tra diritto internazionale tradizionalmente inteso e spazio cibernetico nello specifico contesto della legittima difesa nella cyber warfare, in primis andando a ripercorrere i concetti cardine dei rapporti tra Stati ed introducendo il concetto di cyberspazio, successivamente andando a descrivere le strategie di sicurezza nazionale in Italia e nel mondo e le attività delle principali organizzazioni internazionali in materia ed infine
analizzando alcuni casi studio ritenuti esemplificativi circa le difficoltà di applicazione delle previsioni giuridiche cogenti. Particolare attenzione è stata posta infine nel trovare risposta ad alcune problematiche legate all’esercizio della legittima difesa nel contesto cibernetico quali l’individuazione di un possibile punto di equiparazione delle operazioni informatiche all’uso della forza, la responsabilità internazionale, la legittima difesa collettiva ed ulteriori aspetti non ancora universamente condivisi come il riconoscimento del principio di sovranità nel cyberspazio e la responsabilità oggettiva degli Stati. Da quanto analizzato è emersa una complessiva mancanza di normazione internazionalistica specifica dovuta soprattutto all’impossibilità di consolidamento di una qualsiasi forma di consuetudine o prassi ripetuta nel tempo. Si ritiene in questo senso che la continua evoluzione tecnica delle modalità di attacco non consenta tale processo trattandosi di un contesto, quello cibernetico, in cui paradossalmente la diuturnitas, uno dei fondamenti del diritto internazionale, risulta causa di prevedibilità e dunque di inefficacia dell’ attacco. Come detto, l’assenza di una prassi consolidata come anche di una giurisprudenza, ha comportato nel tempo reazioni differenti da parte dei paesi vittima, sia nella valutazione della natura dell’attacco sia nel tipo di controffensiva da attuare con una però costante mancanza di coinvolgimento della Comunità internazionale a favore di risposte frutto di valutazioni case by case. Apparentemente, una sconfitta del diritto internazionale. Questo continuo processo di osservazione di eventi inediti ha comportato l’assenza di un riferimento storico ed una forma di deterrenza non basata sulla possibile violazione di norme internazionali ma piuttosto sull’incertezza informativa circa le potenzialità tecniche avversarie. Si richiede con urgenza che il Diritto internazionale prenda la posizione che gli compete, quella di grande ordinatore del sistema o attraverso l’adattamento del diritto internazionale esistente o con nuovi trattatati vincolanti. Per quanto appreso dai rapporti prodotti in sede ONU dai Gruppi di Esperti Governativi (GGE) e dal primo Open- Ended Working Group (OEWG), sembrerebbe essere auspicata la via del trattato anche se lo stato dei fatti soffre ancora di valutazioni discrezionali con contromisure autonome o in forma cooperativa in caso di scarsa capacità informatica. Per assottigliare la differenza con l’ambito cinetico sarà necessario ridurre la marginalità e le tempistiche burocratiche delle Nazioni Unite dotandole di strumenti di intervento adeguati alle esigenze del momento. In considerazione della continua evoluzione tecnica la proposta normativa non potrà, inoltre, prescindere dal contributo dell’Industria e degli esperti di settore anche alla luce del coinvolgimento sempre maggiore di attori privati nelle crisi internazionali a forte connotazione informatica.

Pergolizzi

La sicurezza sussidiaria come risposta alla pirateria marittima, le private military and security companies

Dott. Vincenzo Pergolizzi

Attuale Direttore Tecnico Lazio ed Antipirateria. Coordinatore Filiale di Roma e Genova presso VEDETTA 2 MONDIALPOL SPA. Già Ufficiale dell’Arma dei Carabinieri Paracadutisti

Formazione:

Università degli Studi di Roma UnitelmaSapienza. Laurea in Scienze dell’Amministrazione e Sicurezza.

ISFOA Libera Università di Diritto Internazionale.Laurea in Scienze della Sicurezza, Scienze Industriali.

Università degli Studi RomaTre. Master di Security Manager.

Università di Roma Tor Vergata. Master di Esperto in Sicurezza ed Igiene del Lavoro

 

Questo studio intende aprire una finestra sul comparto della vigilanza privata, con l’obiettivo di focalizzare i problemi normativi che di fatto, oggi in Italia, limitano lo sviluppo di questo importante settore. La sicurezza deve essere considerata come un diritto sociale costituzionalmente garantito, per questo è chiara l’esigenza di un nuovo quadro normativo, che consenta agli istituti di vigilanza di implementare le attività di sicurezza sussidiaria già in essere. La regolamentazione dei servizi di "close protection" e di "sicurezza all'estero" sarebbe un ottimo primo passo mentre lo sviluppo di una “exit strategy” basata su 3 direttrici:

  1. Ampliare il mercato di riferimento;
  2. Proseguire nel processo di formazione, prevedendo l'intervento delle Regioni con lo stanziamento di fondi interprofessionali europei;
  3. Costituire una cabina di regia interministeriale, per la definizione del costo del lavoro e del controllo delle tariffe allo scopo di contrastare azioni di dumping.
Rappresenterebbe una risposta adeguata ad esigenze non più trascurabili.