mozambico

Il Mozambico si risveglia regime: il periodo post-elettorale più traumatico dalla guerra civile

Marco Tamburro

Al 4 novembre 2024 sale a 17 il bilancio dei morti confermati negli scontri fra polizia e manifestanti per le strade delle maggiori citta mozambicane. Ai 17 deceduti sulle strade, si aggiunge anche l’omicidio per mano ignota di Elvino Dias e Paulo Guambe, esponenti di spicco del nuovo partito PODEMOS, maturoatis il 19 ottobre scorso. Proprio dalla formazione politica PODEMOS si deve partire per spiegare l’ondata di violenze dell’ultimo mese: dopo qausi trent’anni di guerra civile e processo di pace ormai concluso, le elezioni presidenziali 2024 potevano essere celebrate come le prime senza la presenza di un ala militare vicina ad uno dei partiti che concorrevano alla presidenza. Da sempre il Mozambico si è contraddistinto per il bipolarimso fra FRELIMO, uscita vincitrice dalla guerra civile e da sempre al potere, contro la RENAMO, che nel 2018 aveva perso il leader storico Alfonso Dhalakama. Da allora Ossufo Mohamade aveva ripreso la gudia della RENAMO ma nulla era cambiato a livello dei risultati elettorali: diversi i rapporti post-elezione di USAID e UE a seguito di osservazioni, avevano riportato, nelle varie tornate elettorali, un susseguirsi di frodi, brogli, intimidazioni e, in generale, nessuna separazione tra il Governo e il partito FRELIMO.

In questo quadro, la frustrazione del popolo mozambicano è crescuita, non solo nei riguardi del partito al Governo incapace di migliorare la situazione della maggior parte dei mozambicani, ma anche nei confronti della RENAMO che sembrava, negli ultimi anni, avere un ruolo di oppositrice fantoccio, perfettamente calata nella realtà di secondo partito del Paese senza maggiori aspirazioni. Certo, altri partiti avevano già raggiunto alcuni risultati significativi, come il Movimento democratico del Mozambcio (MDM) capace di assicurarsi da quasi 15 anni solo la municipalità di Beira, provincia di Sofala. L’MDM, come Podemos, naceva però proprio da scissioni interne alla RENAMO che ha visto perdere consensi fino ad essere, dopo le elezioni del 4 ottobre, il terzo partito in termini di presenze di deputati in Parlamento. Infatti, è stato Venancio Mondlane, candidato indiependente supportato dalla lista PODEMOS, a registrare i maggiori successi e a rivendicare anche una vittoria, quanto meno prematura, il giorno dopo del voto e quando si erano scrutinati meno del 10% dei seggi.

Secondo la CNE, commissione nazionale elettorale, alla fine si è imposta la FRELIMO con quasi il 75% dei consensi, guidata dal candidato Daniel Chapo, successore alla guida del partito dopo che Filpe Nyussi dovrà abbandonare l’incarico di Presidente della Repubblica dopo due mandati, conforme ai dettami costituzionali.

E’ proprio dopo il 4 ottobre, però, che cominciano a susseguirsi molte segnalazioni di brogli: imposizioni di esponenti della Frelimo di tener aperti i seggi fino a tarda notte per rivedere i risultati non favorevoli, episodi di supporto della polizia locale a traporti sospetti delle casse contenti le schede elettorali, schede dei seggi ricontrollate e con risutlati diversi in sede di conteggio finale. Sembra quanto meno strano che, dopo una campagna elettorale che aveva visto Venancio Mondlane contraddistinguersi come un candidato energico, pronto a sfidare la FRELIMO, si sia arrivati poi ad un risultato col 75% dei consensi per il partito uscente. Con i risultati elettorali e l’omicio dei due esponenti di PODEMOS, sembra che molte persone abbiano tradotto queste manovre come il segnale inequivocabile che nessun cambiamento o dissenso sarebbe mai potuto essere tollerato.

Verso fine ottobre, pare che Venancio Mondlane si sia reso prima irrintracciabile, poi protagonista di una rocambolesca fuga verso il Sud Africa da cui si collega ogni giorno in diretta live su Facebook per chiamare il popolo mozambicano allo sciopero generale, preparando, la tanto temuta marcia su maputo del 7 novembre. Da qui la situazione tesa ma anche grottesca che si respira a Maputo: nonostante la vittoria elettorale, la forza militare e di polizia nelle mani del Governo e quindi della FELIMO, Mondlane ha già lanciato due appelli allo sciopero generale che vedono diverse città funzionare parzialmente, con molte persone del settore dei trasporti aderire allo sciopero e persone comuni organizzare manifestazioni spontanee in vari quartieri, soprattutto a Maputo. La repressione anche di piccole proteste pacifiche è stata da subito molto dura con le vittime fra la popolazione, oltre anche ad almeno due agenti di polizia rimasti uccisi. Se in città si respira uno strano clima per la marcia del 7 novembre, l’annuncio ha anche dato al Governo il tempo di prepararsi e suidare misure preventive: al vaglio, tra l’altro, anche un possibile stato d’emergenza nazionale che potrebbe prevedere alcune settimane di copri fuoco e esercito nelle strade.

Poco più di un anno fa, il Presidente Nyusi parlava in plenaria all’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 19 settembre 2023: “Concludo facendo appello all’esistenza di un sistema finanziario internazionale più inclusivo, guidato da regole trasparenti e reciprocamente vantaggiose […] Per raggiungere questo obiettivo, è necessario recuperare la fiducia e il rispetto reciproco tra gli Stati, che sono i principi sacri della Carta delle Nazioni Unite”…sono queste oggi, nel 2024, le premesse che l’Africa chiede?

Marco Tamburro

Maiolino

Dalla New York di Rudolph Giuliani al dibattito politico sociale sulla sicurezza

Dott. Massimo Maiolino
Già membro dello staff del Consolato italiano di Wettingen, in Svizzera, è attualmente Funzionario presso il Ministero della Giustizia – Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Laureato con lode in Scienze dell’Amministrazione e della Sicurezza, presso l’Universitàdegli Studi di Roma “Unitelma Sapienza” La sua tesi in criminologia nasce dall’interesse che ha sempre nutrito verso le tematiche riguardanti l’ordine e la sicurezza pubblica, la cui realizzazione e difesa sono considerate come premesse irrinunciabili per l’esercizio dei diritti fondamentali delle persone.

LA TEORIA DELLE FINESTRE ROTTE. Dalla New York di Rudolph Giuliani al dibattito politico-sociale sulla sicurezza.   Il disordine e il degrado hanno sempre costituito motivo di turbamento e di insofferenza in quanto incidono negativamente sulla qualità della vita di gran parte della popolazione. All’indignazione poi si accompagna spesso il timore che i comportamenti incivili, se non sufficientemente contrastati, possano pregiudicare la sicurezza in quanto le ripetute infrazioni alle regole del viver civile si trasformerebbero col tempo in reati ben più gravi quali furti, rapine e violenze varie. Di queste dinamiche si è occupato, nel 1982, un famoso articolo pubblicato sulla rivista “The Atlantic Monthly” scritto dai criminologi statunitensi James Q. Wilson e George L. Kelling e intitolato “Broken Windows. The police and neighborhood safety” (Finestre rotte. La polizia e la sicurezza del quartiere). I due studiosi partono dal principio per cui “se la finestra di un edificio viene infranta e non è riparata, le finestre rimanenti saranno presto rotte”. In altri termini, se si lasciano impuniti gli atti di inciviltà che incidono negativamente sulla qualità della vita e sulla sicurezza degli abitanti del quartiere, esiste il serio rischio che l’intero territorio divenga teatro di infrazioni sempre più gravi, se non di veri e propri crimini, divenendo in breve tempo invivibile per i cittadini. La teoria, chiamata appunto “Broken Windows Theory” (letteralmente: Teoria delle finestre rotte) deve la sua celebrità soprattutto al fatto di essere diventata il principio ispiratore della politica di “Tolleranza zero” attuata negli anni ’90 da Rudolph Giuliani, sindaco di New York, all’epoca in vetta alla classifica delle città più pericolose del pianeta.  Alle misure messe in atto, che comprendevano la prevenzione e la severa repressione di trasgressioni che costituivano ormai la norma, quali gli atti di vandalismo e lo scavalcamento dei tornelli delle stazioni della metropolitana, corrispose un clamoroso quanto inaspettato calo dei crimini, compresi omicidi e rapine. Successivamente, i principi enunciati da Wilson e Kelling influenzarono alcune importantissime politiche di pubblica sicurezza applicate in Europa, come il progetto “Polizia 2000” realizzato in Spagna, il programma di “bonifica degli Champs-Elysées” a Parigi e il “Crime and Disorder Act”, posto in essere nel Regno Unito verso la fine degli anni ’90 dal governo laburista di Tony Blair. In Italia, invece, la legge n. 81 del 25.03.1993 aveva introdotto l’elezione diretta del sindaco, conferendo al primo cittadino poteri e competenze molto più ampie rispetto al passato, tanto da creare così i presupposti per un altro importante intervento normativo, vale a dire la legge n. 125 del 2008 (dichiarata tre anni dopo parzialmente illegittima sul profilo costituzionale), divenuta celebre con il nome di “pacchetto sicurezza”, che conferiva ai sindaci ampie potestà legislative in materia di sicurezza, decoro, viabilità e danneggiamento del bene pubblico. A quarant’anni dalla pubblicazione dell’articolo sul “The Atlantic Monthly”, la Teoria delle Finestre Rotte continua ad essere al centro del dibattito politico e sociale sul problema dell’ordine e della sicurezza, provocando reazioni e giudizi spesso contrastanti. Da un lato vi è chi considera questa teoria come profondamente reazionaria, ispirata ad una logica puramente repressiva e tesa a penalizzare i ceti più deboli della popolazione. Dall’altro c’è, viceversa, chi considera i principi enunciati da Wilson e Kelling come delle verità inconfutabili, empiricamente dimostrate. Tra i principali sostenitori della Teoria delle Finestre Rotte si sono sempre distinte le forze di Polizia, che le riconoscono il merito di “fotografare” in maniera chiara ed esaustiva situazioni da esse ben conosciute in base all’esperienza fatta “sul campo”, nello svolgimento dei propri compiti. Il presente lavoro, che prende le mosse dall’articolo del 1982, descrive e analizza la teoria e i suoi presupposti scientifici e culturali per poi proseguire con la descrizione delle sue principali applicazioni pratiche, soffermandosi soprattutto sull’attività del New York Police Department durante i due mandati di Rudolph Giuliani. Un intero capitolo è poi dedicato alla legislazione e al dibattito sull’ordine e la sicurezza pubblica in Italia a partire dagli anni ’70. Successivamente, vengono passate in esame le principali critiche alla “Broken Windows Theory”, con particolare risalto a quelle collegate alle denunce di violazioni ed abusi che sarebbero stati perpetrati dalla polizia newyorkese nel periodo della “Tolleranza zero”. L’obiettivo è, oltre che esporre in maniera quanto più possibile esaustiva la teoria, quello di sottolineare la necessità di distinguere tra le idee di Wilson e Kelling e le “Policies” che ad esse si sono ispirate, al fine di giungere ad una valutazione della “Broken Windows Theory” quanto più obiettiva e libera da pregiudizi e capire se essa possa ancora rappresentare una valida risposta all’inciviltà e al degrado che, soprattutto nelle grandi città, rappresentano delle criticità sempre più evidenti e condizionanti.